Dopo Astana, Sochi diventa il teatro della «soluzione politica» della crisi siriana. Almeno nella visione di Russia, Turchia e Iran, ormai protagonisti indiscussi a scapito di Golfo e Stati uniti.

Ieri il vertice si è concluso con una dichiarazione che di fatto cancella il meeting che nelle stesse ore le opposizioni riunite nell’Alto Comitato per i negoziati (Hnc) tenevano a Riyadh: la proposta di Putin, Erdogan e Rouhani è la formazione di un «congresso dei popoli» che porti al tavolo governo, opposizioni politiche e rappresentanti di una non meglio definita società civile (chi prese parte genuinamente alle proteste del 2011 ha visto le proprie legittime richieste dirottate dagli oppositori in esilio e dai gruppi jihadisti all’interno).

Si terrà a Sochi e discuterà di riforme ed elezioni. La composizione del congresso sarà frutto del lavoro di diplomatici e intelligence. Il tutto con la benedizione silenziosa e a distanza di Trump. Ma non con quella dei sauditi che provano a ricomporre un’opposizione sempre più frammentata.

Ieri si è parzialmente ricompattata sulla precondizione storica e sempre meno realistica, la cacciata di Assad, messa in dubbio dalle dimissioni di lunedì del presidente dell’Hnc Riad Hijab.