L’ultimo braccio di ferro con il Pd è quello sulla collocazione in aula. Il nuovo gruppo Democratici e progressisti (ma mai dire Dp, ufficialmente si chiama dei Movimento Democratici e progressisti, quindi la sigla è Mdp) vorrebbe sedere alla sinistra del Pd. Ma dal Pd ancora ieri sera avvertivano: «Non gli daremo la soddisfazione di spostarci verso il centro». Stamattina si vedrà chi ha vinto la scaramuccia finale. Intanto ieri la nuova creatura politica è nata, dopo un balletto di numeri alla fine il pallottoliere si è fermato a 36 deputati (19 ex Pd 16 ex Si e uno del gruppo misto, Adriano Zaccagnini, ex M5S) e 14 senatori (tutti ex Pd). Alla camera manca all’appello l’abruzzese Gianni Melilla, segretario d’aula in quota Sinistra italiana. Ma lui assicura: «Ho del lavoro da finire, aderirò al gruppo forse già la prossima settimana». A Palazzo Madama la presidente sarà Cecilia Guerra, già viceministro nel governo Letta. A Montecitorio a dispetto dei pronostici, tutti favorevoli a Roberto Speranza, capogruppo è Antonio Laforgia. Scelta significativa: l’ex cuperliano era segretario del Pd milanese nell’era Pisapia e con l’ex sindaco ha mantenuto ottimi rapporti. Così come il vicecapogruppo vicario Francesco Ferrara, già braccio destro di Vendola e capo dell’organizzazione di Sel (le altre due vice capogruppo sono Delia Murer e Lara Ricciatti, tesoriere Danilo Leva, vicino a Massimo D’Alema). Il rapporto con Pisapia è una delle chiavi del nuovo ’movimento’. A lui, in buona sostanza, fa riferimento la componente ex vendoliana, che infatti l’11 marzo parteciperà al lancio ufficiale di Campo Progressista, al Teatro Brancaccio di Roma. Potrebbe essere quello il primo passo per il nuovo ’amalgama’, e il segnale di questo avvicinamento potrebbe essere la presenza di Roberto Speranza e forse anche di Pier Luigi Bersani. Del resto la ’rete’ di Pisapia ha come esplicita missione quella di riaggregare il centrosinistra, la stessa di Mdp. «Non vogliamo fare un partitino, ora guardiamo a quello che succede nei territori», è il mantra. Poi sarà la volta della scelta di un leader, probabilmente attraverso le primarie: Roberto Speranza è già in pole position. Quanto a quelle del Pd, Massimo D’Alema ieri è di nuovo partito all’attacco: «Oltre a Forza Italia che voterà per Renzi in modo organizzato, andranno a votarlo anche quelli del M5S. Mi hanno detto ’ci stanno mobilitando’. Dio non voglia che non sia Renzi il segretario del Pd, se è Renzi siamo sicuri di vincere le elezioni», ha detto da Genova, «Le primarie del Pd sono una specie di festival di Sanremo, non una cosa seria». Dura la replica del vicesegretario dem Lorenzo Guerini: «Uun insulto a tutta la comunità del Pd».

Gli scontri con il Pd renziano non diminuiranno di intensità. Ma Mdp ha ancora alcuni tasselli del suo puzzle interno da mettere a posto. Ieri una intera giornata di riunioni ha messo a punto qualcuna delle questioni ancora aperte, non poche: la principale è del rapporto con il governo. «Noi assicuriamo a Gentiloni gli stessi voti di prima», spiega Laforgia, «ma se il governo aprirà ai temi sociali che ci stanno a cuore, i voti potrebbero anche aumentare». Il riferimento è all’area degli ex Si e alle priorità indicate da Mdp: ius soli, legge sul fine vita, reddito minimo. Sulle prime due il sì da sinistra sembra scontato, sulla terza questione, il reddito, va segnalata una prima apertura del ministro per la coesione sociale Claudio De Vincenti sul Messaggero: «Dobbiamo guardare ad alcune sperimentazioni interessanti in corso in alcune regioni: Emilia Romagna, Friuli e Lazio».

Intanto ieri nell’aula di Montecitorio le due componenti hanno continuato a votare secondo le culture politiche d’origine. Oggi ci sarà l’esordio nella nuova collocazione, a sinistra del Pd e soprala pattuglia di Sinistra italiana (i quattordici deputati rimasti hanno eletto capogruppo il pacifista Giulio Marcon). Ma non sarà questo ad ’avvicinare’ gli scranni, politicamente parlando. C’è la questione degli eventuali voti di fiducia. Il primo scoglio sarà il decreto Minniti, la ’stretta’ sugli immigrati e sui diritti dei richiedenti asilo. Favorevole la componente ex Pd, scettica quando non apertamente contraria quella ex Si. Sarebbe stato invece risolto il busillis dei voucher: gli ex Si sono schierati con i referendum abrogativi della Cgil di cui chiedono la calendarizzazione immediata da parte del governo. E anche gli ex Pd si avviano verso la stessa richiesta. Il lavoro sarà – almeno così viene giurato – uno dei punti cardine di Mdp (il cui simbolo è infatti l’articolo 1 della Costituzione). E così ieri il primo atto di Laforgia da capogruppo è stato incontrare i rappresentanti di Almaviva di Roma: «Che la notizia dei 1666 lavoratori licenziati passi così rapidamente in secondo piano è una delle cose da aggiustare nella nuova stagione che si sta aprendo».