Sabato scorso a Roma si sarebbe dovuta tenere l’assemblea del Brancaccio, invece se n’è tenuta un’altra al Teatro Italia. Tomaso Montanari e Anna Falcone hanno deciso di fare un passo di lato («I segretari di Mdp, Possibile e Sinistra italiana hanno scelto un leader. E questo ha ‘risolto’ tutti i problemi» l’accusa di Montanari). I militanti dell’ex Opg Je so’ pazzo di Napoli hanno deciso di occupare il vuoto lasciato dai «civici» per proporre la costruzione di una lista di sinistra. Senza nessun centro a cui guardare «perché la lotta di classe non l’inventiamo noi, è nelle cose», hanno rivendicato nell’intervento finale.
Gli attivisti dell’ex Opg hanno in gestione (attraverso una delibera dell’amministrazione napoletana) uno spazio «bene comune»: nelle stanze di un convento, diventato un luogo di reclusione per criminali ritenuti pazzi e poi abbandonato, adesso c’è l’ambulatorio popolare, lo sportello legale per migranti e lavoratori in nero, corsi di italiano, doposcuola per i ragazzi del quartiere, la palestra e il teatro popolare. Un lavoro sviluppato in rete con i collettivi, i centri culturali e sociali a partire da Clash city workers e quelli che si riconoscono nella sigla «Potere al popolo», nata lo scorso settembre a Napoli e diffusa in ventidue città da nord a sud della penisola.
Avevano provato a partecipare all’assemblea del Brancaccio, a giugno, ma non era scattato il feeling. Con la prima fila occupata dai leader dei partiti della sinistra, l’ex Opg aveva avvisato: «Non costruiamo un luogo per dirigenti senza territori».

Sabato si sono ritrovati con il teatro pieno: molti dei partecipanti erano transfughi del Brancaccio, tante le sigle delle lotte contro le politiche di sfruttamento degli ultimi governi come i No tav e No tap e poi anche realtà strutturate come Rifondazione comunista, il Partito comunista italiano (già Pdci) ed Eurostop.
Per cambiare paradigma bisogna cambiare metodo, spiega Matteo Giardiello: «Su lavoro, sanità, scuola, migranti la discussione è monopolizzata dal, quello occupato dal Pd, oppure dal Movimento 5 Stelle o dalla destra. Per costruire una lettura e un percorso di sinistra abbiamo avviato le assemblee provinciali, che porteranno a una sintesi regione per regione. Entro la prima metà di dicembre ci sarà un nuovo incontro nazionale e poi partiremo con la raccolta delle firme. Programma, firme, candidati saranno il frutto del protagonismo delle comunità in cui operiamo».

Sul palco le testimonianze dei lavoratori del call center Almaviva di Roma, licenziati per non aver accettato un accordo capestro che tagliava del 17% stipendi da 600 euro e poi reintegrati dal giudice del lavoro, sindacalisti di base come Giovanni dell’Usb di Livorno: «Abbiamo l’esperienza per mobilitare una grossa parte di questa gente. Sapremo essere la differenza, la speranza, i giochi di segreteria lasciamoli stare, ci hanno ammazzato». E docenti come Roberto, del Coordinamento insegnanti autoconvocati: «Questa esperienza parte dalle lotte, non abbiamo tra noi i responsabili delle politiche degli ultimi anni. Vogliamo cancellare non solo il Jobs Act e la Buona Scuola ma anche il pacchetto Treu e la riforma Fornero, togliere l’appoggio alle guerre imperialiste».
Rifondazione ha aderito al percorso con un voto in direzione (26 favorevoli, 9 contrari): «Giudichiamo negativamente l’annullamento dell’assemblea del Brancaccio e positivamente l’incontro al Teatro Italia, per la capacità di far esprimere esperienze di lotta, pratiche solidali, volontà di partecipazione, nuovo entusiasmo».
Se il percorso lo scrivono i territori, all’assemblea di sabato scorso è toccato indicare il metodo, come spiega Viola dell’ex Opg: «Nella versione de L’Internazionale scritta da Franco Fortini c’è una frase che dice tutto del nostro compito: “Dove era il no, faremo il sì”. Proviamo a rovesciarlo questo mondo rovesciato e iniziamo a farlo rovesciandoci, mettendoci prima noi sottosopra».