Le autorità israeliane fanno pagare a tre bambini palestinesi di sei, quattro e due anni l’attentato compiuto dal padre, Ghassan Abu Jamal, assieme al cugino Oday, lo scorso 18 novembre nella sinagoga di Har Nof, in cui sono stati uccisi quattro religiosi ebrei e un agente di polizia. Un attacco sanguinoso, compiuto a colpi di ascia oltre che di pistola, ma con il quale i tre bimbi non c’entrano nulla. Nati e cresciuti a Gerusalemme, i figli di Ghassan Abu Jamal, non hanno più l’assicurazione sanitaria, revocata dall’Istituto nazionale delle Assicurazioni nel quadro delle misure repressive decise dal governo Netanyahu per mettere fine all’“Intifada di Gerusalemme”. I bambini seguiranno in Cisgiordania la madre, Nadia, alla quale è stata tolta la residenza a Gerusalemme e che sarà espulsa dalla città nel giro di qualche giorno, con ogni probabilità quando i bulldozer demoliranno la sua abitazione nel sobborgo di Jabal al Mukhaber, un’altra punizione collettiva decisa dal governo.

Nadia rifiuta di riceverci, non parla ai giornalisti. I parenti spiegano che la donna prova a rendersi invisibile, perché spera ancora nel ricorso che il centro israeliano per i diritti umani Hamoked ha presentato all’Alta Corte di Giustizia contro l’espulsione da Gerusalemme. «Stanno punendo i bambini per le azioni del padre. E’ una vendetta, senza alcuna base giuridica», ha commentato il direttore esecutivo di Hamoked, Dalia Kerstein. Sono minime però le possibilità che i giudici possano andare contro le decisioni prese dal governo, punitive verso i familiari di coloro che commettono atti di violenza, per scoraggiare i palestinesi di Gerusalemme non solo dal compiere attacchi ma anche dal protestare nelle strade contro l’occupazione israeliana della zona araba e i blitz dell’ultradestra israeliana sulla Spianata delle Moschee.

Diversi palestinesi che non hanno commesso reati, in questo momento pagano per gli attentati compiuti da parenti. A Silwan, ad esempio, gli al Shaludi – padre, madre e cinque figli – cercano una casa da affittare. Fino a qualche settimana fa avevano una abitazione. E’ stata demolita il 19 novembre come punizione collettiva per l’uccisione da parte di Abdel Rahman al Shaludi di una bimba ebrea, Chaya Zissel Braun, di tre mesi, e di Karen Mosquera una studentessa sudamericana. Abdel Rahman si sarebbe lanciato volontariamente contro una fermata del tram.

Non ha mai potuto dare la sua versione dell’accaduto perché dopo il presunto attacco è stato ucciso dalla polizia.

Espulsioni, revoca dell’assicurazione sanitaria e della residenza a Gerusalemme, demolizioni punitive di case non sono pratiche nuove. Durante la seconda Intifada, tra il 2001 e il 2005, riferisce il gruppo per i diritti umani B’Tselem, le autorità israeliane hanno demolito 664 edifici palestinesi, per punire chi partecipava alla rivolta. Queste “regole di deterrenza” come le ha spiegate il portavoce della polizia Micky Rosenfeld, tornano ad essere impiegate. E con ogni probabilità saranno portate avanti anche nei prossimi mesi, come parte della campagna elettorale del Likud e degli altri partiti di destra per le elezioni legislative del 17 marzo, che punterà soprattutto sulla “sicurezza” e il “contenimento” dei palestinesi.

Se l’ultimo outsider in ordine di tempo della politica israeliana Moshe Kahlon, esponente della destra ma avversario di Benyamin Netanyahu, cercherà con una sua lista di catturare il voto degli israeliani che protestano contro l’alto costo della vita e i bassi salari, il premier durante la campagna elettorale batterà sul tamburo di guerra. «Netanyahu ama presentarsi come il garante della sicurezza del Paese – spiega l’analista Lior Lehrs, del Centro studi strategici “Mitvim” – e farà di tutto per utilizzare a proprio vantaggio questo aspetto. Certo avranno un peso anche i temi economici ma la sicurezza resta il punto centrale per molti israeliani che, negli ultimi anni, si sono spostati ancora di più a destra».

Il pugno di ferro contro i palestinesi è la via con la quale Netanyahu conta di arrivare a un nuovo mandato. Assieme, naturalmente, all’espansione delle colonie israeliane in Cisgiordania e Gerusalemme Est, altro tema che sta a cuore all’elettorato di destra. E il premier non esiterà a sfidare Europa e Stati uniti che hanno criticato a più riprese le nuove costruzioni israeliane nei Territori occupati. Appena due giorni fa le autorità israeliane hanno comunicato che spenderanno altri 50 milioni di shekel (12,5 milioni di dollari) per finanziare la costruzione di parchi giochi per bambini, di spazi verdi e la nuova illuminazione stradale nella colonia di Har Homa, tra Gerusalemme e Betlemme. Colonia che viene indicata dagli esperti come uno dei maggior ostacoli alla restituzione di Gerusalemme Est ai palestinesi nel quadro di un eventuale accordo tra Olp e Israele.