Uno dei punti più contestati dallo sciopero generale della scuola di oggi sono i superpoteri attribuiti dalla riforma Renzi ai presidi. Il Pd ha fatto passare un emendamento in VII commissione alla camera. Ora i presidi «individuano», e non «scelgono», i docenti a cui affidare gli incarichi. Ad Andrea Bagni, docente di italiano e storia in un istituto tecnico-turistico di Prato e vice-direttore di «École» chiediamo se questa modifica sia sufficiente. «Francamente capisco poco cosa significa – risponde – Resta il meccanismo degli albi regionali territoriali che coincidono con le reti delle scuole. Il meccanismo non è cambiato: i presidi continueranno a selezionare i docenti. Oggi si sciopera perché è arrivato nelle scuole un messaggio che vuole deliberatamente umiliare le persone».

La cosiddetta «individuazione» dei docenti potrebbe essere gestita dal Consiglio d’Istituto…
Non fa differenza. Si verrà chiamati con un incarico triennale, sottoposti ad una valutazione incapace di entrare nel merito del lavoro del docente, della qualità relazionale del suo lavoro, della sua capacità di collaborare e di stare nel tessuto collettivo.

Quale idea di valutazione del merito emerge dal Ddl?
La riforma Renzi vorrebbe premiare il merito, ma non propone mai uno straccio di idea di cosa voglia dire insegnare bene. Non c’è nessuna discussione su cosa debba fare un insegnante per essere un bravo insegnante. Nel merito questa riforma non entra mai. Faccio un esempio: ci sono i libri di Paola Mastrocola e quelli di Massimo Recalcati. Sono modelli di insegnamento lontanissimi. Il primo è un modello asettico e prestazionale. Nel secondo si parla di «erotizzazione» del sapere e di relazioni emotive. Renzi quale dei due sceglie? La sua riforma non dice nulla. Il problema della dimensione vivente e reale della scuola non viene mai sfiorata. Questo governo ha un pensiero organizzativo, gestionale e tecnocratico che non si pone la domanda sulla qualità delle relazioni e del sapere che si dovrebbe insegnare. La valutazione dell’insegnamento deve emergere da quella comunità collettiva e scientifica che vive in una scuola e non può essere fatta da fuori o dall’alto.

Qual è, se esiste, il progetto pedagogico della “buona scuola”?
È la pedagogia di Marchionne. È l’idea che esiste un capo che forma una squadra per competere nella partita dell’istruzione. Questa è una metafora della crisi della democrazia in generale. Renzi tratta i collegi docenti come tratta il parlamento. Tutti i corpi intermedi, i luoghi di dibattito o di discussione sono considerati un intralcio al decisionismo del capo. Come se una scuola non crescesse attraverso il dibattito che l’attraversa.

Perché la ministra dell’Istruzione Giannini ripete che i docenti non hanno compreso la riforma?
Anche lei è accecata da una visione populistica di fondo e non accetta un’idea della democrazia diversa da quella della delega assoluta a un capo o a un dirigente. Se c’è, invece, qualcosa che resiste nella scuola oggi è una specie di amore per il proprio lavoro, malgrado tutto. È l’orgoglio dell’avere cura per il sapere e per le relazioni con le ragazze e i ragazzi.

Si dice che il Ddl assumerà i docenti precari. Lo farà in che modo, a quali costi e con quali discriminazioni?
Girano voci diverse, quello che è evidente è che è un atto dovuto, previsto dal 2007. Ma verrà realizzata istituendo una continua guerra tra poveri dato che esclude una parte dei precari a favore di un’altra. Di nuovo si va a dividere il grande corpo del precariato nella scuola italiana. Queste persone verranno immesse in ruolo secondo funzioni ancora ignote. Non si sa ancora se una parte degli assunti farà solo da «tappabuchi».
Per la prima volta dal 2008 oggi i sindacati della scuola scioperano. Quali potranno essere gli effetti della loro mobilitazione?
Il sentimento che registro intorno a me è di rabbia, di umiliazione, di protesta. Lo sciopero di oggi sarà grande. Il problema è continuare la mobilitazione. Di strumenti vertenziali non ne abbiamo quasi più. Quello che possiamo fare è riuscire a rendere visibile quella realtà del «fare scuola» oggi negata. Portare la scuola nelle piazze, rendere visibile la delicatezza e la bellezza delle sue relazioni che spesso non arrivano nemmeno nei collegi dei docenti. Dobbiamo riprenderci il discorso e il racconto sulla scuola perché da molto tempo lo abbiamo lasciato nelle mani di persone che non insegnano. La scuola non può essere lasciata così com’è. Abbiamo però bisogno di una riforma che parta dalla vita e costruisca gli spazi per un sapere aperto alle domande e ai desideri di chi la abita.