«Siamo piccoli, ma con tanti progetti e sogni». È un uomo pieno di entusiasmo Luis Bonilla-Molina, presidente del Centro Internacional Miranda (Cim). Lo incontriamo a Caracas nella sede dell’istituto, che dipende dal ministero dell’Educazione universitaria. In una stanzetta zeppa di libri, Bonilla accarezza i volumi prodotti dal Centro come se fossero essere viventi e ce li illustra uno per uno: i numeri della rivista Comuna, «piensamiento critico en la revolución», che vanta prestigiosi collaboratori internazionali; quelli della collana Debate, che analizzano gli sbocchi possibili di un nuovo modello produttivo e pedagogico, e i tanti sguardi che indagano la costruzione di un mondo multipolare. Libri distribuiti gratuitamente, com’è d’uso per quasi tutte le pubblicazioni prodotte dal governo in 15 anni.
«Essere colti per essere liberi», diceva José Martí, e il defunto presidente Hugo Chávez era solito ripetere la frase per spiegare l’importanza attribuita dal «socialismo bolivariano» alla cultura. Un’esortazione che campeggia negli spazi pubblici e nelle fiere letterarie, sempre affollatissime. L’anno scorso, l’Unesco ha riconosciuto gli sforzi compiuti nel campo educativo dal Venezuela, che risulta al quinto posto nel mondo per numero di matricole universitarie, e al secondo, dopo Cuba, in America latina. Quando Chávez ha assunto il primo incarico, nel ‘99, gli studenti iscritti all’università erano 668.109. Già nel 2007 erano diventati 2.135.146. Alla fine del 2013, il numero era salito a 2.620.013. Fra questi, 3.346 studenti provenienti dai popoli indigeni e 1.232 diversamente abili.
«Tuttavia – dice Bonilla – le statistiche delle Nazioni unite non restituiscono per intero l’impatto della trasformazione in corso in Venezuela sulla qualità di vita delle persone: quando su una famiglia di cinque persone che prima riusciva a malapena a mangiare una volta al giorno, quattro studiano; quando persone di 50 anni e più si rimettono a studiare o lo fanno per la prima volta, si verificano cambiamenti profondi nella struttura sociale, che vanno al di là delle statistiche tradizionali. Il Cim lavora sugli indici di sviluppo umano e su indicatori alternativi».
Il termine «bolivariano» è sinonimo di sovranità: accentua la nuova riscossa del continente, richiamando il sogno della Patria grande del libertador Simón Bolívar . Anche il nome dato al Cim indica il recupero della memoria storica compiuto in questi anni: restituisce al presente la figura del generale Francisco de Miranda, padre dell’indipendenza latinoamericana, vissuto tra il 1750 e il 1816.
«L’idea del Centro internazionale – spiega Bonilla – ha cominciato a prender forma dopo il colpo di stato del 2002. Come intellettuali, abbiamo deciso di muoverci, organizzando tre incontri di solidarietà internazionale con la rivoluzione bolivariana. Molti di noi sentivano però la necessità di uno spazio di confronto meno estemporaneo. Nel 2004, l’abbiamo espressa a Chávez e nel 2005 abbiamo creato questo Centro, il cui compito fondamentale è costruire un ambito di relazione proficua tra gli accademici – tra gli intellettuali organici – e il processo educativo».
Da allora, si aprono diversi filoni di indagine sul «socialismo del XXI secolo» verso cui tende oggi il Venezuela. Storici, sociologi, economisti, pedagoghi, analizzano le nuove forme della partecipazione popolare, dell’economia sociale, del controllo operaio e comunitario, e il complesso percorso dallo «stato burocratico a quello comunale». In catalogo, libri sull’opposizione armata alla IV Repubblica, sulla guerra asimmetrica e sulla «manipolazione mediatica». Un’indagine senza steccati, frutto della formazione «promiscua» di Bonilla all’interno della sinistra e dell’ultra sinistra venezuelana, che il direttore del Cim considera come una «marcia in più per accogliere e interpretare le diverse attitudini di pensiero». Centrale, il lavoro di riflessione sulla Pedagogia critica e la Gestione educativa boliviariana: un compito non facile, «perché – spiega Bonilla – quando si vive la formazione in modo permanente come in Venezuela, il focus non è nel pensiero, ma nell’azione. Sul piano della pedagogia critica, la rivoluzione bolivariana ha prodotto avanzamenti come in nessun altro momento storico in Venezuela. Per anni abbiamo quasi evitato di abbordare il tema della qualità del dibattito per evitare di chiuderlo in uno schema. Ora, cerchiamo di combinare azione e pensiero per raggiungere un equilibrio. Nel 2014 si è svolta su questo una discussione a livello nazionale: alla Consulta per la qualità educativa hanno partecipato 8 milioni di persone, su una popolazione di 30 milioni. Famiglie, docenti, studenti, hanno discusso su come trasformare il modello educativo garantendone livelli alti. Il Centro Miranda ha iniziato un ciclo di interviste internazionali per mettere a confronto i modelli educativi esistenti: riforme e controriforme, dall’America latina, agli Usa, all’Europa. L’anno prossimo, passeremo a quelli asiatici».
Questo, secondo Bonilla, l’assunto di base: «I cambiamenti in corso nel modello educativo dei paesi capitalistici   mostrano l’avvio di una gigantesca controriforma educativa sponsorizzata dall’Ocse e dalla Banca mondiale: che mette in pericolo il diritto umano all’educazione e indica un cambiamento di indirizzo sostanziale nella democrazia rappresentativa per come la si è conosciuta nei paesi occidentali. Il vecchio modello va scomparendo per far posto a un altro modello di governabilità che, al di là dei singoli accenti, è molto più autoritario. La scuola con il suo sistema di relazioni, il suo compito e gli indirizzi per come l’abbiamo finora conosciuta, è seriamente minacciata». E così, il 9 luglio scorso, Bonilla ha firmato la lettera che 232 pedagoghi hanno inviato a Irina Bokova, direttora generale dell’Unesco. «Abbiamo espresso un allarme per quello che consideriamo un black out pedagogico mondiale, prodotto delle politiche neoliberiste. Alcuni studi della Banca interamericana per lo sviluppo, principale fonte di finanziamento multilaterale dell’America latina, ipotizzano la possibilità che i ragazzi apprendano da casa usando le nuove tecnologie e che la scuola funzioni solo come un punto di valutazione».
Durante le violente proteste dell’anno scorso, gli studenti di opposizione hanno accusato il governo di aver abbassato la qualità dell’educazione e i criteri selettivi. Cosa risponde Bonilla? «Questa rivoluzione – dice – è riuscita a realizzare un processo di inclusione come mai prima d’ora, e questo è particolarmente visibile a livello educativo. Logico che le elite si vedano minacciate nei loro privilegi e cerchino di recuperare con ogni mezzo il terreno perso. Dal prossimo anno, alcune linee di ricerca del Cim si trasformano in corsi di studio per dottorato e post-dottorato: per comprendere lo sviluppo del sistema educativo, i diversi modelli e le proposte pedagogiche in prospettiva storica. Alcuni corsi riguarderanno lo sviluppo agricolo integrale, la comunicazione, la formazione alle politiche pubbliche. Da qualche anno, il Centro Miranda agisce anche all’interno dei progetti educativi dell’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America in cui studiano giovani nicaraguensi, cubani, ecuadoriani… E poi, io ho la fortuna di avere in famiglia un piccolo osservatorio privilegiato: ho sette figli di età diversa, che mi consentono di tenere sott’occhio l’intero ciclo educativo».