La tradizionale Festa del Teatro di San Miniato, figlia dell’Istituto Dramma Popolare, vanta un record: è il più antico festival di produzione d’Italia, atto di nascita 1947. Ora, giunto a quota 68, volta pagina. E dal puro spirito (tema finora dominante) passa alla pura cronaca. Puntando dritto sulle rotte dei migranti che cercano di raggiungere le nostre coste. I dannati della terra, come li definiva Franz Fanon, non passa giorno che finiscono inghiottiti dalle onde. Vince la burocrazia dei numeri (l’Unhcr stima in 500 i morti nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno e qualcosa come 25mila nell’ultimo decennio), vince la solita indignazione. Il solito ritornello: l’Europa non ci aiuta.

La strage continua, il canale di Sicilia una fossa comune, il mare una tomba senza lapidi.
In forma di racconto picaresco, con innesti da sogni scespiriani e tempeste sturm und drang da rotocalco, incubi e apparizioni da horror movie, leggende marine e ricordi d’infanzia, Moby Dick e il Capitano Nemo, fino a evocare il Grido di Munch e l’Alì dagli occhi azzurri di Pasolini, in una sorta di sacra rappresentazione che diventa via via sabba, via crucis, salita al Calvario, rievocazione pagana del «mito» della natività, l’ultima avventura sanminiatese, che ha debuttato in prima nazionale in piazza del Duomo, si chiama Finis Terrae, da un’idea di Antonio Calenda (sua anche la regia) su drammaturgia originale, scritta per l’occasione, da Gianni Clementi.

Lo spettacolo, coprodotto insieme allo Stabile del Friuli Venezia Giulia, si apre su un angolo di costa battuto dal vento che sembra di entrare nell’Isola dei morti di Boecklin (la scena è di Paolo Giovanazzi). Due contrabbandieri di sigarette, anema e core, da classica commedia all’italiana, la Notte di Natale, aspettano un carico di «bionde».

Nero dal mare affiora un gruppo di disperati, relitti di umanità, aggrappati a tante croci come tante zattere (per una salvezza umana e profetica) che poi diventano, con bell’effetto «lego», lo scheletro della loro «nave dei sogni». Ma è la Notte Santa, la notte dei miracoli. Così la lingua da spicciola diventa poetica, i sogni assumono i contorni del possibile, il futuro è il vagito di un neonato venuto a luce non per caso su quello spicchio di terra. E fra una stella cometa e una crocifissione non mancano neppure il bue e l’asinello. Finis Terrae traghetta simboli, da tragedia epocale a quotidiano trambusto.

I «messaggi» rubricati sono la convivenza, l’accoglienza, la solidarietà, il dialogo, l’integrazione, la familiarità. Ma i destini degli uomini, bianchi e neri, restano alla superficie, figure di un «presepe» dal battito folclorico. Protagonista, con Nicola Pistoia, Paolo Triestino, Francesco Benedetto, un ensemble di attori musicisti danzatori, provenienti da vari paesi africani: percussionisti, nel fuori programma conclusivo, degni dei leggendari Tambourinaires du Burundi. Ma in versione pop.