Virginia Raggi parla ai terremotati di Amatrice, licenzia assessori, ribatte alle polemiche. Ma sui rifugiati di piazza Indipendenza tace. Dall’amministrazione romana non trovano utile intervenire. Fanno silenzio su quella che viene considerata una questione a rischio, «divisiva», foriera di polemiche e non di vantaggi elettorali. Eppure dal Campidoglio i segnali sono arrivati.

Quando mancano poche ore al raid di piazza di ieri mattina, dall’assessorato alle politiche sociali di Laura Baldassarre diramano un comunicato insolito per l’orario e sospetto per il contenuto. «Purtroppo molti hanno rifiutato le opzioni proposte dai nostri operatori, rimanendo così in una condizione di disagio», recita il dispaccio. Col senno del poi, e in un momento in cui l’opzione militare non appare esattamente all’ordine del giorno, suona come un via libera allo sgombero. «Per molte ore oggi, come accaduto nei mesi scorsi – spiega Baldassarre – non è stato consentito agli operatori l’accesso all’immobile di via Curtatone, poiché è stata giudicata a rischio la loro incolumità a causa del clima di forte tensione». Come a dire: le soluzioni c’erano ma i rifugiati non le hanno volute prendere in considerazione. Il riferimento è alla proposta che dalla Sala operativa sociale del Comune è arrivata ai rifugiati: 80 posti in un centro d’accoglienza a Torre Maura, sulla via Casilina, e altrettanti a Rieti, messi a disposizione dalla società che possiede il palazzo sgomberato. Daniele Frongia, ex vicesindaco e assessore allo sport molto vicino alla sindaca, si limita a commentare nei forum ricordando a chi chiede spiegazioni che gli sgomberi non li ordina l’amministrazione. Dal Comune raccontano che l’andazzo è ormai il seguente: l’intervento delle forze dell’ordine avviene senza consultare la politica. «Ma questa sarebbe una ragione in più per prendere parola, marcare una differenza», dice un lavoratore delle Ong che hanno seguito da vicino i passaggi chiave.
Anche i movimenti per il diritto all’abitare puntano il dito verso l’amministrazione comunale, più volte sollecitata in questi mesi a dare attuazione alla delibera regionale sulla casa (strappata dopo anni di lotte): «I nuclei familiari di via Curtatone – spiegano gli attivisti – erano inseriti nella delibera per l’emergenza abitativa che il Campidoglio ancora oggi rifiuta di attuare, nonostante i fondi messi a disposizione dalla Regione». Nel M5S c’è chi, come il deputato Manlio Di Stefano, rivendica lo sgombero: «Raggi e prefetto fanno bene a sgomberare – dice – occupare un palazzo è illegale. Che tu sia italiano o straniero non cambia, la polizia ha fatto il suo dovere».

Roma è diventata la vetrina della definitiva (anche se largamente annunciata) svolta securitaria del Movimento 5 Stelle. Nei giorni dell’attacco di Luigi Di Maio alle Ong, Raggi aveva detto, presto smentita dai numeri effettivi, che Roma aveva «troppi migranti». Per di più, i bandi sull’accoglienza approntati dal Campidoglio continuano a prediligere i monopolisti del settore e predispongono meno posti di quanto i finanziamenti che arrivano a Roma Capitale consentirebbero. Ancora prima, quando Raggi mise insieme la sua squadra, disse chiaramente a chi accettava l’ingaggio: «Chiedetemi tutto, ma sugli insediamenti abusivi non avremo nessuna pietà». Ecco il senso della sue prime uscite in compagnia dell’allora assessora all’ambiente Paola Muraro, a rivendicare la «pulizia» di aree occupate da baracche. L’analogia tra rifiuti e poveri non prometteva bene. Allora si parlava soprattutto di rom, ma evidentemente ci si riferiva a tutte le forme dell’abitare che le retoriche del decoro in questi anni hanno messo sotto accusa. Gli sgomberi di piazza Indipendenza rientrano in questa casistica, non importa che si tratti di rifugiati politici e non conta più il tweet che la sindaca scrisse il 9 dicembre scorso, partecipando in Vaticano ad un incontro sull’accoglienza, in compagnia dei sindaci di diverse città europee: «I rifugiati sono nostri fratelli e sorelle. Roma città accogliente farà la sua parte».

Dall’Arci commentano duramente: «Se è questo il nuovo, a noi sembra vecchio come qualsiasi deriva autoritaria». Non commenta Andrea Mazzillo, l’assessore al bilancio fatto fuori a sua insaputa al ritorno dalle ferie. Eppure avrebbe voce in capitolo: fino a poco tempo fa aveva anche la delega al patrimonio, in virtù della quale era stato (invano) sollecitato dai movimenti ad intervenire su accoglienza e diritto all’abitare. Ma si apprende che ha deciso, nonostante tutto, di continuare la sua attività nel M5S, promuovendo di un «gruppo di lavoro su Atac».