Due manifestazioni parallele, lo stesso dolore che unisce egiziani e italiani dentro i tentacoli di un’unica repressione. Ieri, a sei mesi dalla scomparsa di Giulio Regeni al Cairo, il 25 gennaio, la capitale egiziana si è unita a quella italiana che dalle 19.41 (orario in cui Giulio mandò l’ultimo messaggio alla fidanzata) e le 20.30 quando il suo cellulare si è spento ha accesso decine di candele al Pantheon: la manifestazione è stata organizzata da Amnesty International, Antigone e Cild e ha visto l’adesione di molte organizzazioni della società civile.

Candele per fare luce, nel buio pesto che non viene squarciato né dalla magistratura (che arranca a causa della voluta lentezza degli inquirenti egiziani) né tanto meno dalla politica. Quella italiana non ha la volontà necessaria a prendere misure che facciano una pressione reale, quella europea ha lasciato Roma in un grave isolamento.

Paola e Claudio Regeni telefonano alla piazza: «Sono trascorsi ormai sei mesi dalla sparizione del nostro Giulio. Siamo qui a chiedere sempre più forte verità e giustizia. Grazie a tutti coloro che sono lì a Roma».

«Anche noi abbiamo acceso delle piccole fiaccole. Sempre e ancora giallo per lui – aggiungono – Da parte delle autorità egiziane non c’è stata affatto la collaborazione promessa. Avevamo chiesto anche se è vero che esistano due fascicoli aperti su Giulio, ma neanche a questa domanda abbiamo ottenuto risposta. Siamo preoccupati per tutti coloro che cercano di aiutarci in Egitto, stanno mettendo a rischio la loro libertà e la loro incolumità».

«Con questa manifestazione vogliamo ridare luce alla campagna per Giulio Regeni che purtroppo non ha ancora ottenuto alcun risultato – dice sotto la pioggia romana il portavoce di Amnesty, Riccardo Noury – Chiediamo ai due governi di fare il massimo. A quello egiziano di dire la verità e a quello italiano di pretenderla». Erano in tanti ieri di fronte al Pantheon con in mano delle fiaccole per testimoniare il proprio impegno. A terra gli striscioni gialli di Amnesty, “Verità per Giulio Regeni”, e foto del giovane ricercatore.

Resta la società civile, viva a Roma come al Cairo. Ieri, mentre in Italia ci si preparava alla fiaccolata, in piazza scendevano 15 donne e i loro sostenitori. Sono le madri di quindici cittadini egiziani, tutti giovani come Giulio, tutti scomparsi nel buco nero delle prigioni di Stato del Cairo.

Le mamme si sono ritrovate, riporta Agenzia Nova, di fronte alla sede del Consiglio Nazionale per i diritti umani, ente governativo, con in mano le foto dei figli e la data di scomparsa. Chiedono esattamente quello che chiede la famiglia di Giulio: un’inchiesta trasparente e seria che squarci quel buio e faccia finalmente chiarezza sul destino di quei ragazzi.

La società civile egiziana, dopotutto, aveva subito abbracciato Giulio, vittima «come un egiziano» della stessa macchina di controllo capillare e soffocamento delle voci critiche (ma anche di semplici cittadini), imbastita dal regime golpista del presidente al-Sisi.

La stessa Amnesty nella sua ampia campagna ha raccontato con dovizia di particolari le storie degli egiziani altrimenti senza nome: è il rapporto “Ufficialmente tu non esisti”, volti e storie di egiziani desaparecidos, una goccia nel mare di migliaia di sparizioni forzate che ogni anno si registrano in Egitto dal 2013.

L’impegno della base fa risuonare con maggiore vigore il silenzio della politica. Alcune misure sono state prese – il governo italiano ha richiamato quasi subito l’ambasciatore dal Cairo e il parlamento a fine giugno ha bloccato la fornitura gratuita dei pezzi di ricambio per gli F16 – ma i rapporti commerciali e strategici con al-Sisi non sono stati scalfiti.

Una novità ieri c’è comunque stata: dopo il reiterato no della Procura Generale egiziana a consegnare al team italiano i tabulati telefonici e le immagini delle telecamere di sorveglianza («Una richiesta che viola la costituzione», la litania dei vertici del Cairo), ieri l’Egitto ha accettato di fornire i contenuti video delle telecamere attive nelle stazioni della metropolitana Bohooth e Naguih, dove Giulio sarebbe passato la sera del 25 gennaio prima di non lasciare più traccia di sé.

Le immagini saranno inviate ad una società in Germania, specializzata in consulenze tecniche: a settembre partirà l’analisi degli hard disk nella speranza di individuare immagini utili all’inchiesta. Non è dato sapere se il “pacchetto” di immagini sia completo.

In ogni caso è un piccolo passo avanti che permette alla Procura di Roma di dire che «il canale di collaborazione con Il Cairo resta aperto», ma anche di lamentare la persistenza di «buchi neri», tra cui la consegna dei tabulati telefonici nelle celle delle zone di scomparsa di Giulio e di ritrovamento del suo corpo senza vita, il 3 febbraio scorso.