Oggi, per la prima volta nella storia della stracittadina romana, il tifo organizzato che ha reso unico il derby capitolino non sarà presente allo stadio Olimpico. Curva Sud e curva Nord, romanisti e laziali, non gremiranno gli spalti dello stadio, mettendo in scena il momento più alto e mediaticamente più forte della protesta contro le misure adottate dal prefetto Gabrielli.

Lo scorso giugno, la Prefettura di Roma aveva stabilito la divisione delle curve dell’impianto Coni attraverso l’innalzamento di barriere interne, andando tra l’altro controcorrente rispetto all’indirizzo Uefa che da tempo ne chiede la rimozione in tutta Europa.

Eppure, nonostante una protesta civile, mai sfociata in manifestazioni di violenza, Questura e Prefettura hanno dimostrato di voler adottare il pugno duro non solo contro le poche di decine di tifosi che da tempo destano l’attenzione delle forze dell’ordine, ma verso l’intera fetta di tifosi che da decenni frequenta il cuore del tifo (circa 9mila persone per ogni curva).

Denunce, sanzioni amministrative per non aver rispettato il posto assegnato, divieto di guardare la partita in piedi, Daspo di 5 anni. E poi ancora interdizione dallo stadio per torce e fumogeni, pre-filtraggi all’ingresso, file ai tornelli e perquisizioni accurate.

La lunga trafila imposta dalla stretta della Prefettura sta creando dissapori non soltanto tra i tifosi della curva, allargando lo specchio del dissenso alla stragrande maggioranza dei tifosi (soprattutto giallorossi) che stanno pubblicamente ridiscutendo il senso di frequentare lo stadio, da sempre simbolo dell’aggregazione popolare, alla luce delle nuove disposizioni.

Proprio su questo si è recentemente pronunciato Alessandro Arturi, Gip che ha rigettato la richiesta di Daspo quinquennale per un tifoso romanista, reo di aver acceso una torcia durante il sit-in di protesta fuori dallo stadio.

Nella sentenza, Arturi specifica che la condotta del giovane tifoso non fu «lesiva per l’incolumità dei presenti», aggiungendo che il dissenso verso questo «pacchetto di misure preventive» è «avvertito non solo dagli ambienti ultras, ma anche da consistenti settori della società civile, come pesantemente discriminatorio e immotivatamente punitivo, specie nei confronti degli spettatori che si sono premuniti di abbonamento annuale».

Nell’ultima settimana, la questione-curve è tornata prepotentemente a far discutere. Intervistato prima a Il processo del lunedì e poi giovedì dal Corriere dello Sport, il prefetto Gabrielli ha alternato posizioni di ferrea intransigenza («Se si tratta di un braccio di ferro è chiaro che per loro – i tifosi, ndr – sarà perdente. Ne va della credibilità dello Stato») a momenti di apertura («Tornate allo stadio, comportatevi bene. E le barriere poi non sono di cemento armato, si possono anche togliere»), che però non sembrano aver convinto l’ambiente romano.

Saranno meno di 35mila le persone presenti a un derby che, caricato di tensione anche da un continuo presagio di scontri con articoli che fanno temere il peggio nonostante l’assenza dei gruppi organizzati, sembra essere oggi la prova vivente del nuovo modello di tifo che si sta mettendo a punto negli stadi italiani.

La protesta della Curva Sud ci racconta oggi di un tentativo disperato di difesa non già della cultura ultras, ma del diritto del tifoso ad essere ancora protagonista della parte più genuina del calcio. Il doping mediatico su cui si sta giocando la partita di questo sport, drogato dal mercato tv e dall’immagine filtrata per l’utenza telespettatrice, impone la necessità di normalizzare la cornice entro cui si volge e si confeziona il prodotto.

L’abbattimento non già del concetto di tifo ma di uno specifico modello di tifo, rappresenta la condizione necessaria per la trasformazione dello spettacolo calcistico in evento mediatico, con tutti i crismi del caso: su tutti l’innalzamento dei prezzi per l’esclusività del prodotto e la conseguente gentrificazione degli spalti, con la progressiva espulsione della parte più popolare della tifoseria.