Sono convinti di essere l’anima del governo, «svolgiamo una azione di pubblica utilità. Abbiamo evitato l’aumento dell’Iva, evitato che si alzassero le tasse, messo nell’agenda politica temi complicati come la prescrizione, non nella logica del nostro interesse ma per fissare l’interesse del Paese». Ha fatto dunque tutto Italia viva, ovvero il suo fondatore Matteo Renzi che però formalmente non ne è neanche portavoce, per ora. Ieri il senatore ha arringato i suoi affastellati nello studio 10 di Cinecittà, la città del cinema, dove sono state girate alcune scene del Gladiatore. Ma il gladiatore di Rignano è un po’ fuori forma. Alla sua assemble nazionale parla per un’ora e mezzo, vanta i meriti della sua creatura politica. Futuri. «Quando non sanno che dirci ci dicono che abbiamo solo il 4 per cento. Se col 4 riusciamo a combinare tutta questa cosa immaginate cosa riusciremo a fare quando arriveremo all’8 o al 10».

PER L’OGGI INTANTO Renzi però assicura che non vuole far saltare il governo, per chi ci aveva creduto. Così alla fine l’unica vera notizia, si fa per dire, della giornata è una smentita di un retroscena di stampa che lo dava in dubbio se ritirare la delegazione di governo per passare all’appoggio esterno. Macché: a Conte «appoggio totale», dice.

CONTE INCASSA E RINGRAZIA: «Il nostro programma è troppo ambizioso per essere attuato senza il coinvolgimento di tutti gli attori». Il segretario Pd elogia «l’etica della collaborazione», ma non nomina Renzi. Dal Nazareno la tendenza è quella di non cascare nelle sue provocazioni.

ALTRO PAIO DI MANICHE sono le future alleanze politiche: «Vogliamo che il governo vada avanti, ma non bisogna trasformare il presidente del consiglio nel leader e punto di riferimento dei progressisti del mondo. Io rispetto chi pensa che Conte sia il nuovo leader del progressismo italiano, ci riserviamo il diritto di dire che non lo è perché ha firmato i decreti Salvini», dice Renzi. E «se qualcuno immagina di fare un partito insieme con M5s, Pd, e reduci di Leu diremo in bocca al lupo, ma saremo da un’altra parte».

MA UN PARTITO FRA PD E 5S non è all’ordine del giorno, nel caso lo sarebbe una coalizione, e anche lì la strada è lunga. Se la legge elettorale sarà proporzionale, il tema si porrà solo nel caso – oggi largamente ipotetico – di vittoria alle politiche. E in quel remoto caso il problema si porrà anche per Renzi, che potrebbe ricambiare idea. Del resto il primo a rimangiarsi il «mai con i 5stelle» e a proporre l’alleanza di governo. Parole, posizionamenti tattici. Come quello sulla prescrizione: «Dicono che Renzi vuole fare come Forza Italia, ma se devo scegliere tra chi dice mai prescrizione e chi che non è uno scandalo che ci sia qualche innocente in carcere, io sto con chi è garantista». Stando però ai fatti Iv, dopo aver giurato di votare la legge Costa che abolisce la legge Bonafede, si è ritirata su una più prudente astensione mentre la maggioranza rimandava in commissione il testo forzista. Renzi, che da premier voleva fare ministro della Giustizia il procuratore dell’Antimafia Gratteri, icona 5s, ora è garantista: «Noi non siamo per la cultura delle manette, non staremo mai dalla parte del giustizialismo grillino». Tuona anche contro il populismo. Ma, anche lì, a agosto fu il primo a dire sì al taglio dei parlamentari, bandiera dei 5s a cui fin lì il Pd aveva votato no.

DISTANZE FRA TEORIA E PRASSI, si può dire, e alla fine Renzi si aggiusta. È successo alle suppletive di Roma. Dopo aver alzato un polverone per il niet del Pd al nome della giornalista Federica Angeli, lanciata nella mischia da Italia viva, a Cinecittà in realtà offre la prima passerella al ministro Gualtieri, candidato al voto del primo marzo.

ORA PROMETTE BATTAGLIA alle regionali in Puglia. Con le primarie il Pd ha già scelto l’uscente Emiliano. Renzi non ne vuole sentire parlare: «Non possiamo stare con chi ha detto quelle cose sull’Ilva, sulla Banca popolare di Bari, sul Tap, se andiamo con Emiliano in Puglia abbiamo già perso». Contro di lui, a nome anche di Calenda e +Europa, il senatore vorrebbe la ministra Teresa Bellanova. Che però sennatamente resiste: una ministra bocciata nella sua regione non sarebbe certo poi più forte nell’azione di governo. Rischio che non corre Gualtieri nel collegio blindato di Roma1. d.p.