Da quando Roma è stata sommersa dalle lettere di sfratto del commissario Tronca, i movimenti della casa, i sindacati di base, l’associazionismo diffuso si sono riorganizzati. Hanno costruito una campagna: #romanonsivende. Organizzato blitz per chiedere una “moratoria giubilare contro sfratti e sgomberi”. Il 19 marzo scorso hanno sfilato in ventimila. Una manifestazione che sarà ricordata l’unica degna di nota in una campagna elettorale triste e confusa come nessun’altra in precedenza. E ieri, il percorso dell’altra Roma si è trasformato nella campagna #decidelacittà.

Da Cinecittà a San Paolo, da San Lorenzo a Ponte di Nona fino al Parco delle Energie, ci sono stati cortei, sit-in, assemblee e occupazioni lampo per definire insieme agli abitanti dei quartieri il progetto di una “Carta di Roma Comune”. Un documento work in progress che metterà nero su bianco gli elementi base per governare la città secondo i principi e le pratiche dei beni comuni. I settori interessati sono quelli di interesse generale per una città assediata dall’austerità: acqua e servizi pubblici, trasporto urbano e rigenerazione delle periferie. Una complessa tessitura di proposte e di esigenze che, dal punto di vista dei movimenti, dovrebbe scongiurare la privatizzazione dei servizi come le scuole dell’infanzia e i nidi (simboli di una battaglia cittadina) e stabilire nuove regole per una città attenta agli spazi sociali e politici e un ecosistema metropolitano che sappia tutelare l’iniziativa culturale e l’auto-organizzazione. I materiali e il percorso può essere seguito sul sito, in realtà molto bello, decideroma.com.


Il caso di Via dei Giubbonari

Nella nuova politica urbana della Capitale, il rischio di sfratti e sgomberi non colpisce solo gli spazi sociali e le associazioni – si parla di 800 realtà diverse. La storia ha tenuto banco nell’ultima settimana, l’avevamo raccontata. Gli elettori del Pd a Roma hanno avuto una conferma: il commissario Tronca, subentrato al sindaco Marino defenestrato dal loro stesso partito, ora intende sgomberare anche la storica sede di via dei Giubbonari, una sezione concessa nel 1946 dal Comune all’allora Pci. Il canone era agevolato, praticamente regalato. Si parla di 320 lire mensili, «rivalutate» a 12 mila nel 1986. In tempi più recenti, con Alemanno al Campidoglio, il canone aumentato il canone passò a circa 1.200 euro al mese, 14.900 euro l’anno. I militanti non accettarono l’aumento e arrivarono ad autoridursi la pigione a 102 euro al mese, meno di un decimo. Una storia che richiama la pratica di aree politiche molto distanti dall’attuale Pd. L’autonomia e il movimento delle case la chiamava “autoriduzione”.

Il contenzioso non è stato mai risolto: il Comune chiedeva un affitto in fondo modesto per la zona, i militanti rispondevano che quella è una sede politica, oltre tutto storica, e non va trattata a prezzi di mercato. Dopo l’esplosione di Mafia Capitale, a dicembre 2014 Matteo Orfini diventa commissario del Pd cittadino, tramortito da arresti, indagini e ingolfato dai veleni delle potenti e rissose correnti della Capitale. Orfini chiede di sanare le morosità e di ragionare su un nuovo canone di affitto, alla luce della specificità della sezione, e della sua storia.

Di tutta risposta, il commissario Tronca gli ha inviato una lettera di sfratto. Con richiesta di sgombero. I militanti del Pd hanno risposto, con un linguaggio d’altri tempi: resisteremo, ci barrichiamo dentro.

Il commissario si giustifica con il fatto che la Corte dei Conti sta facendo pressioni, e vuole riportare i preziosi denari arretrati nel bilancio comunale disastrato. E in tempi di “Affittopoli”, con la marea dell’indignazione montante, non si scherza. Paghi, o sei fuori.

L’opposizione dei militanti del Pd non è dovuta alla volontà di scroccare – così è stata trattata la questione sulle cronache quotidiane infestate dall’ideologia del decoro. In realtà, in via dei Giubbonari si resiste perché un luogo politico – e di importanza storica – non va trattato secondo le leggi di mercato. Va pagato alla collettività, certo, ma con un’altra logica inconciliabile con quella ragionieristica nella città dove il piano di rientro dal debito impone tagli, svendite, privatizzazioni.

La storica sede Pd di via dei Giubbonari
La storica sede Pd di via dei Giubbonari

Paradossi della Roma commissariata

Agli elettori romani del partitone renzizzato, Orfini non ha ancora spiegato che la storia di via dei Giubbonari è la stessa che riguarda molti centri e spazi sociali di Roma. La lettera di Tronca è arrivata anche a Esc, Auro e Marco, Angelo Mai, La Torre, Casale Falchetti, la palestra popolare di San Lorenzo. E poi il Grande Cocomero, un centro per l’infanzia di San Lorenzo famoso per l’omonimo film di Francesca Archibugi.

Molte di queste realtà sono accomunate, direttamente o indirettamente, dalla delibera 26 approvata dalla prima giunta Rutelli. L’attuale candidato sindaco Roberto Giachetti dovrebbe ricordarselo, visto che era capo segreteria del sindaco ex radicale come lui. Quella delibera ha creato parecchi problemi: riconobbe la specificità del movimento dei centri sociali, dopo un intenso conflitto non privo di tensioni, ma non ha mai proceduto alla regolarizzazione degli affitti, stabiliti in base a un canone agevolato. Proprio come è accaduto a via dei Giubbonari.

La giunta Marino, poco prima di cadere, ha approvato un’altra delibera, la 140. Ha chiesto gli arretrati a tutte le strutture, senza avere proceduto alla regolarizzazione prevista dalla delibera precedente. Questo ha portato a richieste incredibili da 6 milioni di euro di arretrati, giunta al centro sociale Auro e Marco. E alle lettere di sgombero. Il Campidoglio diretto da Tronca intende riacquisire questi spazi, metterli a bando e guadagnare il corrispettivo stabilito dalla Corte dei Conti. Con queste operazione, stando a quanto è noto dal Documento di programmazione triennale, si pensa di guadagnare 15 milioni di euro all’anno, per i prossimi tre.

Per un paradosso della Roma commissariata, la sezione di Via dei Giubbonari oggi si trova nella stessa situazione dell’atelier Esc a San Lorenzo. Due mondi, a dir poco, distanti uniti dal medesimo rifiuto del Tar a cui hanno fatto ricorso per la stessa ragione. Nel primo caso il Tribunale amministrativo parla «di mancanza di alcun atto di concessione, nonostante la pluriennale occupazione dell’immobile». Quella concessione è stata richiesta, tardivamente, da Orfini a un sindaco che nel frattempo aveva defenestrato. “Dal Campidoglio – ha detto – hanno risposto alla mia lettera, preannunciandomi una convocazione formale per poter discutere della vicenda”. La convocazione non è mai arrivata. E si capisce il perché. La concessione avrebbe dovuto esserci nel caso di Esc, e degli altri spazi, così come il canone di affitto da versare. Sembra che gli uffici dei dipartimenti non abbiano proceduto a ratificare quanto previsto.

Se Orfini aspetta l’elezione del sindaco – e lui spera in Roberto Giachetti – per risolvere il caso simbolo di via dei Giubbonari, gli spazi sociali hanno scelto un’altra strada. Quella del diritto alla città. Un diritto che non dipende, solo, da un sindaco.