Dall’ “Estate romana” di Matteo Garrone e “Pranzo di ferragosto” di Gianni Di Gregorio a “Regina Coeli” di Nico D’Alessandria e “Non essere cattivo” di Claudio Caligari. Oppure dai più vecchi “La dolce vita” e “Roma” di Federico Fellini ad “Accattone” e “Mamma Roma” di Pier Paolo Pasolini: sono infinite le perlustrazioni della città eterna e sarebbe davvero interessante lavorare a un volume definitivo sul rapporto tra questa città speciale e gli artisti. Ne verrebbe fuori un mosaico straordinario di intuizioni geniali (anche di luoghi comuni, certo, gli artisti non sono tutti uguali né tutti così inventivi). Intanto vediamo che ci offre Nanni Moretti su questa città in un libro uscito di recente e in attesa che ci racconti cinematograficamente ancora – è il compito del cinema, come ha dichiarato anche in questo testo – , “cose che non riusciamo a vedere”.
“New York è la stessa città dopo un film come Manhattan di Woody Allen? Berlino è la stessa dopo Il cielo sopra Berlino di Win Wenders? Roma è la stessa città dopo Caro diario?”. Sono le domande che si pone il volume di Paolo Di Paolo (romanziere) e Giorgio Biferali (critico letterario) “A Roma con Nanni Moretti” (edizioni Bompiani, pagine 160, euro 11). E va subito detto che il valore del libro sta nella minuziosa disamina dei posti in cui il regista si è soffermato, che siano luoghi piccoli (pasticcerie, bar, gelaterie) o monumenti. E anzi, come sottolineano gli autori, Moretti è uno dei pochi romani (anche se un po’ straniero perché nato a Brunico, Trentino) che non si lasciano sfuggire i grandi monumenti: “Capita a tutti di passare davanti a un luogo monumentale – un luogo imponente, carico di storia – senza fermarsi. Di averlo intravisto in un film, ritagliato in una cartolina, di averne solo sentito parlare. Questo, capita soprattutto ai romani. Nanni Moretti, spinto dalla curiosità e dalla consapevolezza che una vita non vale senza una certa dose di attenzione, ha saputo fermarsi”. Indimenticabile, e ormai mitica, la passeggiata in Vespa nelle contraddizioni romane. E da “Io sono un autarchico” a “Sogni d’oro”, da “Bianca” a “Mia madre” scorre nella perlustrazione che gli autori fanno di tutti i suoi film una rivisitazione di Roma che può dirsi oggi “morettiana”, fatta cioè di panchine, terrazze, musica, dolci, case, insomma un’atmosfera riconoscibile nelle battute ormai proverbiali dei suoi film. Tornano così alla mente le parole della studiosa delle emozioni in movimento Giuliana Bruno: “Io penso che i luoghi che ispirano il movimento, che ti fanno fare un tragitto, che ti trasportano attraverso le cose, che ti creano delle prospettive diverse, sono quelli che spaziano attraverso di te e che, viceversa, ti permettono di fare luogo a un concetto, un’idea, un pensiero”. Ed è il regista stesso a stare a questo gioco nell’intervista concessa agli autori del libro nella parte finale. Alla domanda sul rapporto con Roma, risponde: “La prima cosa che mi viene in mente è la possibilità di girare in Vespa, non solo d’estate, di andarsene in giro per la città senza meta. La seconda cosa a cui penso è la luce di giornate meravigliose come quella di oggi, una luce che credo ci sia in pochi posti nel mondo. Che rapporto ho con Roma? Mah, me la potrei cavare dicendo che è mia madre. É come la domanda ‘che rapporto hai con tua madre?’. Tua madre è tua madre, è quella che ti ha dato la vita”.