Sono pochi centimetri ma fanno la differenza. Stiamo parlando dello strato superficiale del suolo, la cosiddetta pelle del mondo. «Per il benessere del pianeta bisogna cominciare dal terreno», con questo slogan lo scorso 5 dicembre le Nazioni Unite hanno celebrato la giornata mondiale del suolo. Per l’occasione hanno presentato la mappa globale del carbonio organico contenuto nel terreno. Questo elemento costituisce più della metà della sostanza organica presente nei suoli. Si concentra nei primi trenta centimetri ed è fondamentale per garantire le diverse funzionalità del terreno. Il primo strato di suolo ha la capacità di assorbire carbonio, limitando la presenza di questo elemento nell’aria che respiriamo. A livello mondiale lo strato di 30 centimetri riesce ad intrappolare circa 680 miliardi di tonnellate di carbonio, il doppio di quello presente in atmosfera.
La presenza di carbonio organico è un indicatore del benessere dei suoli. Favorisce la stabilità del terreno, limita l’erosione e il compattamento, migliora la fertilità dei suoli favorendo i legami tra diverse sostanze e aumenta la disponibilità di elementi nutritivi utili alle piante. L’uso che facciamo dei suoli, però, ha delle conseguenze sulla sua salute. L’irrigazione intensiva o la perdita del manto vegetale espongono il suolo alla diminuzione del carbonio organico e all’erosione. La perdita di questo strato di suolo e il suo impoverimento non hanno conseguenze solo sulla fertilità e sulla produttività dei terreni ma anche sul cambiamento climatico. Il terreno, infatti, perde la capacità di immagazzinare carbonio e lo rilascia in atmosfera. A riconoscere il ruolo fondamentale svolto dal suolo nella lotta al cambiamento climatico è stata anche la recente COP23, che si è svolta a Bonn, in Germania.

Nella mappa le Nazioni Unite e la Fao individuano i suoli che catturano la quantità maggiore di carbonio, riducendo, quindi, quello presente in atmosfera. Si tratta di foreste, savane e praterie che, insieme, riescono a raccogliere più di 500 miliardi di tonnellate di carbonio. La mappa si propone di monitorare le condizioni dei suoli e prevede di identificare le aree più degradate per poter mettere in campo delle politiche di mitigazione e limitazione delle cause di impoverimento dei suoli.

Se consideriamo che per creare un centimetro di suolo sono necessari almeno mille anni, si comprende come mai si moltiplichino gli allarmi quando si parla di terreni degradati. Secondo i dati della Fao il 30% delle nostre terre ha già perso gran parte delle sue proprietà. A mettere a rischio i suoli sono lo sfruttamento in agricoltura, le infrastrutture urbane, l’inquinamento, l’erosione e il cambiamento climatico. Ogni anno a livello mondiale si perdono circa dieci milioni di ettari di suolo fertile. Lo afferma nel report 2017 la Global Soil Week, una conferenza annuale sul benessere dei suoli, che riunisce istituzioni, associazioni e università. In Africa sarebbero più di 500.000 i chilometri quadrati di terreni degradati a causa dell’erosione, della salinizzazione, dell’inquinamento e della deforestazione.