Non c’è un corteo, c’è l’occupazione allegra del paese dal primo pomeriggio a sera. Le strade di Riace sono troppo piccole, la voglia di gridare della comunità africana troppo grande, partono quando una lunga fila di pullman e auto blocca ancora l’accesso lungo la strada che viene dal mare.

Si sale a piedi. E salendo si sbatte contro uno spezzone che si è staccato in anticipo. Si scende e si torna su. Sfilano già da un po’ quando un megafono raggiunge la testa: «Tra pochi minuti cominciamo il corteo». Allora stanno già puntando in alto, verso l’ultima casa del paese. La casa del sindaco.

La grata che rinchiude Mimmo Lucano è una zanzariera, bucata.

Si affaccia mentre le strade intorno si riempiono, cade la prima pioggia e si alza il grido «Mimmo libero», i canti partigiani, lui si commuove.

Piange Mimmo Lucano, piange e mostra il pugno, cambia finestra e quest’altra non ha barriere, saluta, manda baci. La sua casa non ha balconi. Non è neanche la sua casa. È la casa del padre, Roberto, 92 anni, che apre uno spiraglio al primo piano: «È orgoglioso di suo figlio?». «E ci mancherebbe». Racconta di essere un vecchio maestro, «ma a mio figlio non sono mai riuscito a insegnare niente, ha sempre avuto la testa dura».

È anche una giornata di grandi vecchi, in mezzo alle ragazze e ai ragazzi che riempiono Riace, per la questura duemila ma non si sbaglia moltiplicando per tre.

In giacca di lana e cravatta rossa, si arrampica lungo i tornanti del paese Peppino Lavorato, ottant’anni, ex deputato comunista e sindaco per dieci anni di Rosarno, uno che ha combattuto miseria e malavita. «Questa giornata mi ricorda il 22 ottobre del 1972, quando per manifestare a Reggio Calabria contro i fascisti del “Boia chi molla” gli operai non si fecero fermare neanche dalle bombe sui treni». Ha le lacrime agli occhi, ma il suo ragionamento è limpido: «Alla destra Riace fa paura, qui va in crisi tutto il racconto basato sulla paura e sul rancore, Mimmo Lucano ha dimostrato che i poveri del mondo non sono una minaccia per i nostri poveri ma una grande forza per le nostre terre. Sono vecchio e molto preoccupato di quello che sta succedendo al nostro paese, ma una giornata come questa mi fa sperare nel fatto che la sinistra possa ritrovare le grandi battaglie ideali. E la battaglia del nostro tempo è questa, è la battaglia per l’accoglienza, è qui».

La manifestazione si prende il paese e anche il municipio. La sala del consiglio comunale è aperta per proteggersi dalla pioggia, ricaricare il cellulare, riposarsi un po’. Nell’ufficio del sindaco, quello con la scritta «I cittadini si ricevono sempre» si accampano i giornalisti.

foto di Silvio Messinetti

 

Nella piazza che doveva essere quella di partenza, in alto sul teatro all’aperto dove alla fine ci si raduna tutti, c’è un bar che arrostisce salsicce. Poco più in là c’è Luciana Castellina che saluta i compagni (e vende il manifesto), ci sono l’ex sindaco di Messina Renato Accorinti, il sindacalista Abubakhar Soumahoro, Adriano Sofri su una panchina, arriva anche Laura Boldrini.

La delegazione dei sindaci della locride è numerosa. Gioiosa Jonica, Roccella, Stignano. Sono partecipi dell’esperienza di accoglienza inventata da Lucano. Non tutti con la fascia tricolore, la indossano invece il sindaco di Cerveteri e il sindaco Michele Conia, primo cittadino di Cinquefrondi, cinquanta chilometri da qui: «Aspettavamo da tempo un’occasione del genere, una grande manifestazione di tutta la sinistra senza gelosie o primogeniture. Non si è capito bene chi l’ha convocata e questo certamente ha aiutato».

C’è anche l’assessore di Napoli Enrico Panini: «Le organizzazioni politiche sono sullo sfondo, pesa l’adesione di Arci e Cgil ma il grosso è autorganizzazione, è una sinistra che chiede di essere rappresentata».

La galleria

 

Le bandiere ci sono: Rifondazione, Potere al popolo (tante), Sinistra italiana. E poi Libera, Emergency.

foto di Giulia Sbarigia

Ma soprattutto striscioni montati per l’occasione – c’è anche quello del nostro giornale, stampato in loco – e tutti chiedono libertà per il sindaco. La sua battaglia, ha scritto Forbes quando due anni fa lo ha messo tra i grandi leader del mondo (un posto sopra Melinda Gates), «has pitted him against the mafia and the state», gli ha messo contro la mafia e lo Stato.

Né le salite né la pioggia possono fermare la comunità africana, che canta per due ore, «Mimmo libero».

Sono a casa loro, sono loro ad accoglierti. «Benvenuti a Riace», dice Daniel Yaboah quando parla alla folla. È arrivato dal Ghana nove anni fa, dice che Salvini gli può anche togliere la cittadinanza italiana, «tanto io sono un cittadino di Riace». «Accusano Mimmo per la raccolta dei rifiuti, ma che ne sanno a Roma, questo paese prima delle cooperative e della raccolta differenziata era sporco e adesso è pulito, Roma non mi pare».

Kader Diabate invece non è più a Riace da tempo, ma è tornato dalla Puglia per raccontare che «quando sono arrivato a Riace avevo il fuoco nell’anima e solo Mimmo ha trovato il modo per ridarmi la pace». Dolce Lucano.