Quando, a febbraio, insieme a Bevilacqua, De Lucia, Montanari, Revelli e tanti altri mandammo a questo giornale una lettera aperta a Landini non ci aspettavamo si facesse promotore di una grande iniziativa sindacale.

Nella lettera aperta a Maurizio Landini, da poco eletto segretario della Cgil, chiedevamo un suo impegno contro «la secessione del Nord».

Dopo pochi mesi quell’appello è diventato un fatto concreto, una grande iniziativa dei sindacati confederali per opporsi all’autonomia finanziaria differenziata. Una scelta coraggiosa se si tiene conto che la base sindacale del Nord esprime un rilevante voto per la Lega, sostenitrice a spada tratta dell’autonomia finanziaria, con il trasferimento da Sud a Nord di qualcosa come 60 miliardi di euro all’anno, cancellando di fatto il welfare nel Mezzogiorno, riducendo drasticamente i salari dei dipendenti pubblici, e creando un abisso tra le due parti del nostro paese.

Quindi il 22 giugno i sindacati Confederali hanno indetto una manifestazione nazionale a Reggio Calabria non per un generico richiamo al Mezzogiorno, per la solita litania dello sviluppo mancato e della disoccupazione che avanza, ma con un obiettivo chiaro e ambizioso: «Ripartiamo dal Sud per unire il paese». Vale a dire: contrastiamo con ogni mezzo questa sciagurata proposta di legge sull’autonomia finanziaria che darebbe un colpo mortale alle popolazioni meridionali e sancirebbe di fatto la fine dell’unità nazionale.

Intendiamoci, formalmente l’Unità d’Italia non verrebbe (almeno per ora) messa in discussione ma con questi poteri forti dati alle Regioni si andrebbe dritti verso la creazione di qualcosa che assomiglia a dei mini-Stati. Paradossalmente, anziché batterci per la creazione, necessaria e urgente, degli Stati uniti d’Europa andiamo a costituire gli Stati uniti d’Italia, ovvero un modello istituzionale simile a quello degli Usa che però hanno ben altra storia, territorio, popolazione.

Con il risultato facilmente prevedibile di abolire i contratti nazionali delle diverse categorie di lavoratori, scatenare una concorrenza sul salario e diritti tra i lavoratori delle diverse regioni/statarelli, fare esplodere una ancora più grande ondata migratoria dal Sud al Nord Italia, con uno scontro durissimo tra chi ha diritto ad accedere ai posti della pubblica amministrazione in base agli anni di residenza nelle singole regioni.

La scelta di Reggio Calabria ha anche una valenza simbolica, ci ricorda un’altra grande manifestazione che si svolse in questa città in un momento altrettanto drammatico del nostro paese: la marcia dei 50mila metalmeccanici il 22 ottobre del 1972. Decine di migliaia di lavoratori rischiarono la vita pur di arrivare a Reggio Calabria in nome dell’unità dei lavoratori e la lotta al neofascismo.

Decine di bombe sui binari ritardarono di molte ore l’arrivo di questi operai metalmeccanici, e se non ci fossero stati i servizi d’ordine lungo la linea ferrata avremmo contato i morti a centinaia, come ci ricorda la famosa e coinvolgente canzone di Giovanna Marini «I treni per Reggio Calabria». Grazie a quella imponente manifestazione le forze democratiche rialzarono la testa nella città dei “boia chi molla” che era stata consegnata ai fascisti da giochi di potere all’interno del centro-sinistra.

È passato quasi mezzo secolo e i problemi socio-economici del Mezzogiorno si sono ulteriormente aggravati, soprattutto perché è morta la speranza che ci possa essere un riscatto del Sud, quel sogno per cui si è battuta la generazione degli anni 70 del secolo scorso.

Eppure, in questa fase storica ritorna di grande attualità lo slogan «Nord e Sud uniti nella lotta», perché l’uscita dell’Italia dalla sua profonda crisi economica, sociale e culturale, dalla possibile implosione può essere superata solo con il rifiuto degli egoismi territoriali e di classe sociale e il rilancio della solidarietà e l’unità, dentro e fuori i confini nazionali.