Gli ultimi mesi di vita di James Hillman sono stati raccontati da chi gli stava accanto come il momento nel quale lo psicoanalista e filosofo statunitense volle mettere in pratica in hora mortis il suo assunto secondo il quale «continuiamo a vivere nelle immagini che di noi lasciamo agli altri»: malato e costretto via via all’immobilismo, Hillman rinunciò alla morfina per mantenere tutta la sua lucidità e metterla al servizio dei suoi allievi. Un ricordo di quell’autunno di dieci anni fa emerge dalla prefazione che Margot McLean offre ai lettori nell’ultimo libro al quale suo marito volle lavorare assieme a Silvia Ronchey, filologa e bizantinista italiana con la quale Hillman aveva stretto da anni un sodalizio intellettuale e una proficua collaborazione.

McLean racconta dell’ultimo viaggio che fece con Hillman in Italia, in visita ai mosaici bizantini di Ravenna assieme alla stessa Ronchey. Da quel viaggio e dalle successive conversazioni scaturì l’opera a quattro mani scritta fino a pochi giorni prima che Hillman si spegnesse, e che sintetizza, nelle parole di McLean, «gli ultimi pensieri di James Hillman»: ne è venuto fuori un libro, che esce adesso da Rizzoli con il titolo L’ultima immagine (pp. 264, € 19,00).

Ronchey contestualizza, nell’introduzione, l’interesse del filosofo per Ravenna, dove voleva recarsi in modo da «registrarne in diretta e in loco l’impatto immediato sulla sua psiche; dare all’intera agnizione la forma di un dialogo, destinato a ‘fare il punto sull’immagine’; e così ‘saldare l’ultimo conto sospeso con Jung’, che proprio a Ravenna ha avuto la famosa visione di cui lungamente tratta nei suoi Ricordi».

Da qui il libro procede in forma dialogica, alternando i due diversi momenti in cui è stato scritto: i dialoghi «al cospetto» dei mosaici ravvenati, nel settembre del 2008; e quelli successivi, fino al 2011.

Partendo dalle sue impressioni visive, Hillman svolge insieme alla sua «conversatrice» il filo di pensieri che abbracciano un arco di argomenti vastissimo, nel quale trovano posto riflessioni politiche, riletture della mitologia greca, e naturalmente ulteriori accostamenti al pensiero di Jung, mentre la consapevolezza della morte imminente spinge lo studioso a trasformare questo saggio-dialogo in un vero e proprio testamento filosofico.