Iniziano oggi, in Ecuador, i lavori preparatori per il IV vertice della Celac, la Comunità degli stati latinoamericani e caraibici composta da 33 paesi. Il blocco regionale (da cui restano fuori solo Usa e Canada) è nato nel 2011 per impulso di Chavez. Ora si riunisce a Quito per discutere i problemi dell’area e trovare un intento comune, com’è già avvenuto in altre importanti occasioni. Così è stato al III vertice che si è svolto in Costa Rica, dove si è raggiunta una posizione concorde poi espressa durante la Conferenza delle Nazioni unite sul cambiamento climatico (Cop21), realizzata a Parigi nel dicembre scorso. In Costa Rica, l’Ecuador ha ricevuto la presidenza pro-tempore (che ora passa alla Repubblica dominicana), e ha proposto un’agenda comune per avanzare su alcuni grandi obiettivi, dalla lotta alla povertà e alle disuguaglianze a quella alle violazioni dei diritti umani, alla lotta alla droga.

Il gruppo di paesi progressisti o socialisti cerca di imprimere un segno più avanzato al resto dei governi che compongono il variegato blocco regionale, all’insegna della sovranità popolare e della giustizia sociale: «L’integrazione è un denominatore comune che funziona nonostante l’orientamento di un singolo governo – ha detto il presidente ecuadoriano, Rafael Correa – il nostro obiettivo è che presto la Celac possa sostituire l’Organizzazione degli stati americani (Osa) come meccanismo di integrazione regionale». In pieno secolo XXI – ha aggiunto – è assurdo che i paesi latinoamericani e caraibici debbano andare a Washington, dove ha sede l’Osa, per dirimere i propri conflitti.

Per questo, la Celac ha come obiettivo la costituzione di un Sistema latinoamericano dei diritti umani che sostituisca l’attuale Commissione interamericana, a sua volta basata a Washington. Il confronto con Usa e Canada, quindi, deve prendere forma in modo congiunto a partire dal blocco regionale. Questa volta, però, peserà la posizione dell’Argentina, tornata a destra dopo l’elezione dell’imprenditore Mauricio Macri, che intende voltare le spalle alle alleanze sud-sud. Preoccupa soprattutto la congiuntura economica della regione, a fronte della drastica caduta del prezzo del petrolio e della prevista recessione.

Al vertice di Davos, che si è concluso ieri, i paesi neoliberisti hanno rassicurato i grandi investitori: il presidente Henrique Peña Nieto ha spalancato loro le porte con le massicce privatizzazioni decise nel settore petrolifero e in quello del gas. A dicembre, 51 compagnie hanno presentato offerte per operare in 25 campi petroliferi. Nieto si è riunito a Davos con Macri, che ha annunciato il grande ritorno del Fondo monetario internazionale in Argentina con i relativi rapporti annuali con i quali l’Fmi distribuisce patentini di affidabilità a seconda del colore politico. Un’arma affilata per provocare o acuire crisi politiche, ora rivolta contro Brasile e Venezuela.