Un album, presentazioni– debutto questo pomeriggio al Megastore Duomo di Milano alle ore 18,30 – e concerti, questo sarà il programma del progetto a quattro mani dei pianisti Rahmin Bahrami e Danilo Rea. Duo atipico quello di Bahami e Rea sia per storia personale sia per esperienze professionali: visto che il primo è concertista di fama internazionale, raffinato esegeta proprio del «Kantor» di Eisanach, proposto ad ampio ventaglio ed in tutti modi possibili con dischi, migliaia concerti, raro esempio di divulgazione a larga distribuzione sfruttando senza snobismi tutti i canali consentiti, tanto da permettersi di varare nel 2014 un intrigante progetto destinato ai più piccoli con Bach for babies ed in ultimo ricollocando nel gusto d’oggi le Variazioni Goldberg, terreno musicale talmente pubblico e riconoscibile sul quale è facile cadere anche per i musicisti più navigati. E non a caso l’improvvisazione su una delle Golberg apre la registrazione.

Mentre il secondo con una carriera da professionista di lusso per cantanti e cantautori (da Mina a Gino Paoli), è tra i più innovativi improvvisatori europei; sodale di Roberto Gatto, ha suonato con Massimo Urbani, Aldo Romano, tra le sue band si contano i Doctor 3 e i New Perigeo. Insomma, due musicisti più diversi non si potevano incontrare. Ma, per chi ha uno sguardo retrospettivo sull’influenza di Bach nel jazz del ‘900 sa che gli incontri con la sua musica non sono mai casuali.

Dire ciò e intraprendere questa strada è già dare un indirizzo d’ascolto e lasciare da parte i grandi trascrittori bachiani del XX secolo da Busoni a Togni. Sebbene e sia chiaro che Bahrami non occulta quest’aurea tradizione, che affiora nelle sue versioni, reinventate in trama lucida da Rea, anche in modo superbo e mai clandestino. Dunque si torna al jazz, anche nella scelta dei brani, tutti popolarissimi, che di questo si tratta nel rispetto dei ruoli e della storia; infatti per farsi un’idea di cosa può rappresentare Bach is in the air basta pescare nel mazzo i vocalizzi degli Swingle Singers, o lo stravagante e pop Bach suonato sul finire degli anni ’50 da Jacques Loussier e dal suo trio, talmente totalizzante da oscurarne la complessa attività compositiva o le raffinate geometrie di John Lewis espresse sia con il Modern Jazz Quartet sia nelle interpretazioni di metà anni ’80 estratte dal primo libro del Clavicembalo ben temperato.