In Siria la guerra regionale tra i due grandi assi, sunnita e sciita, è ormai diretta. Da una parte Hezbollah e Damasco, impegnati nella strategica battaglia di Qalamoun; dall’altra Arabia saudita e Turchia che, pur di far saltare la testa di Assad, si appoggiano a gruppi jihadisti che ufficialmente dicono di combattere.

Da una settimana epicentro dello scontro è la regione di Qalamoun, a cavallo tra Siria e Libano: campi di battaglia sono il villaggio siriano di Ras al-Maara e la città libanese di Nahleh. Obiettivo dell’esercito siriano e Hezbollah, dispiegati nella zona, è assumere il controllo delle strategiche colline usate dai jihadisti del Fronte al-Nusra per lanciare offensive contro la valle del Bekaa, in Libano, target da anni delle opposizioni siriane e, più recentemente, di al-Nusra e Stato Islamico. Offensive che hanno insanguinato il Libano, trascinando il Paese dei Cedri – ancora una volta – nel vortice dei settarismi che hanno accompagnato la sua storia e quella dell’influente vicino siriano.

La controffensiva guidata da Damasco e Hezbollah ha permesso la riconquista di una serie di villaggi nelle ultime ore, costringendo i qaedisti a riposizionarsi a Talit Moussa, la più alta delle colline di Qalamoun. Presi da Assad la collina di Ras al-Maara (che garantisce il controllo della frontiera e delle vie di comunicazione tra l’ovest e la capitale Damasco) e il valico di Ma’br al-Kharbah (usato dagli islamisti per far passare armi da un lato all’altro del confine). Sul lato libanese, al-Nusra ha abbandonato anche le posizioni conquistate intorno alla martoriata città di Arsal.

Allo scontro tra asse sciita e jihadisti si sovrappone la faida interna tra al-Nusra e Isis, passati in pochi mesi dal patto di non aggressione siglato in chiave anti-Assad allo scontro per il controllo del territorio siriano. Guidati da obiettivi parzialmente diversi (nazionale al-Nusra, transnazionale lo Stato Islamico), seppur nati dalla stessa radice qaedista, i due gruppi hanno scelto come campo di battaglia la stessa regione di Qalamoun. Uno scontro partito sui social network, dove al-Nusra ha annunciato di voler sradicare il califfato, accusandolo di preferire attaccare miliziani del Fronte piuttosto che stringere con loro un’efficacia alleanza.

La battaglia tra al-Nusra e Damasco intanto prosegue anche a nord, nella provincia di Idlib. Preda è l’ospedale della città di Jisr al-Shughour, occupata dai jihadisti due settimane fa. Da allora hanno preso d’assedio l’ospedale all’interno del quale si trovano 250 soldati governativi, fedelissimi di Assad e le loro famiglie. La riconquista di Jisr al-Shugour sarebbe una vittoria strategica di enorme portata per il presidente, sia per la posizione geografica (a poca distanza da Latakia, roccaforte alawita) che per il suo significato simbolico.

Ma Assad deve guardarsi da ben altri nemici: i jihadisti sul terreno non sono attori solitari, ma parte integrante di un fronte ben più ampio. Per mesi Arabia saudita e Turchia sono state accusate di essere responsabili della crescita repentina di gruppi jihadisti nella regione. Ora scoprono le carte, altro schiaffo alla strategia ufficiale Usa. Ankara e Riyadh stanno attivamente sostenendo una coalizione di islamisti, Jeish al-Fatah (Esercito della Conquista), di cui fa parte anche al-Nusra.

L’accordo tra il presidente turco Erdogan e re Salman è stato siglato a marzo a Riyadh, riporta il The Independent, effetto del disappunto turco e saudita per il mancato intervento militare occidentale contro Assad. Funzionari turchi interpellati dalla stampa non hanno negato: la Turchia starebbe fornendo assistenza logistica e intelligence, l’Arabia saudita denaro e armi che tranistano dal poroso confine turco-siriano. Una notizia che ha travolto Washington, a stretto giro dal lancio del programma Usa di addestramento di ribelli siriani in Turchia e Giordania.