«La competitività di un sistema produttivo è un fenomeno complesso, multidimensionale e mutevole nel tempo». La puntualizzazione del dott. Roberto Monducci, Direttore Dipartimento statistiche economiche dell’Istat (il manifesto 29 febbraio), è corretta e ineccepibile.

L’Istat da tempo indaga la così detta competitività ed è utile. Tutti utilizzano le informazioni dell’istituto e siamo tutti grati e certi della sua puntualità.

Ma la riflessione dell’articolo (il manifesto 26 febbraio) si fondava sulla necessità di superare la distinzione statistica tra spesa in investimenti e spesa in ricerca e sviluppo, e intendeva indagare la logica e le conseguenze che l’una e l’altra hanno sulla struttura e la composizione del reddito.

Lo sviluppo (Ingrao B., “Sviluppo economico“, Treccani Enciclopedia Italiana) si qualifica come un movimento da una serie di attività basate su prodotti primari, a una serie di attività secondarie che incorporano maggiori livelli di conoscenza. I tentativi di introdurre il progresso tecnico nella funzione di produzione neoclassica sono parziali, diversamente dall’analisi dinamica dello sviluppo, intesa come evoluzione qualitativa del sistema economico, che aiuta l’osservazione di cosa si celi dietro la crescita.

Il sistema produttivo non è mai uguale a se stesso; l’innovazione e l’apprendimento non cambiano solo le quantità di capitale e lavoro che sono combinate nella funzione di produzione, ma modificano i modi con cui gli input sono combinati. Queste caratteristiche dello sviluppo e della produzione industriale cambiano il segno degli investimenti e della domanda effettiva, in cui l’innovazione gioca un ruolo fondamentale.

In particolare l’innovazione tecnologica incorporata negli investimenti modifica continuamente la struttura dei costi di produzione e, indirettamente, la struttura della domanda, con almeno due implicazioni di politica economica.

La prima è legata al coordinamento tra consumo, investimenti privati, dotazioni tecniche e spesa pubblica; la seconda è legata alla necessità di consolidare un background di conoscenze sufficiente per sviluppare una autonoma capacità innovativa per assicurare una crescita economica sostenibile, e per selezionare le tecniche provenienti da Paesi esteri.

Infatti, l’integrazione del mercato internazionale, della produzione industriale e l’aumento dell’intensità tecnologica negli investimenti e nei beni di consumo, un tema poco trattato se non in un saggio di “Moneta e Credito” (Lucarelli, Palma, Romano), impone ai Paesi delle politiche industriali capaci di anticipare la domanda di beni e servizi.

Proprio perché l’evoluzione delle condizioni tecniche di produzione è necessaria per lo sviluppo, le “condizioni tecniche” modificano costantemente l’organizzazione di una impresa e, quindi, l’intera economia. Questa dinamica (squilibrio) sostiene e cambia il contenuto del Pil e il mercato dei beni e dei servizi.

Alla fine dobbiamo riconoscere a Sylos una grande intuizione che non può essere formalizzata: in una analisi dinamica lo sviluppo economico è da riguardare, non semplicemente come un aumento sistematico del prodotto nazionale concepito come aggregato a composizione data ma, necessariamente, come un processo di mutamento strutturale, che influisce sulla composizione della produzione e dell’occupazione e che determina cambiamenti nelle forme di mercato, nella distribuzione del reddito e nel sistema dei prezzi.

Il rapporto dell’Istat rimane prezioso e unico, ma l’analisi e l’interpretazione dei fenomeni economici dipende dai modelli di riferimento utilizzati.