Il Tav non è solo un treno. E la lotta, che vi si oppone, non è solo contro un bolide a rotaie. C’è una questione democratica. Da quando si è iniziato a parlare della Torino-Lione, quasi venticinque anni fa, a oggi, sono stati davvero rispettati i diritti fondamentali della popolazione all’ambiente, alla salute, all’informazione corretta e trasparente e a partecipare alle decisioni che riguardano la propria vita?

Lo dirà il Tribunale Permanente dei Popoli (Tpp), organo di opinione, erede di quel tribunale Russel che aveva indagato sui crimini di guerra in Vietnam. Lo scorso settembre ha, infatti, accolto l’esposto del Controsservatorio Valsusa, presieduto dall’ex magistrato Livio Pepino e a cui partecipano associazioni, tecnici e cittadini. E questa mattina il Tpp aprirà il processo a Torino, nella nuova aula magna dell’Università alla Cavallerizza Reale. Alla sbarra non i soliti attivisti ma il Tav stesso.

L’accusa è di violazione dei diritti fondamentali di un’intera comunità. A doversi difendere saranno governo, Regione Piemonte, le società costruttrici dell’opera.

Il processo inizierà con un’istruttoria che darà il via a una sessione dedicata a «diritti fondamentali, partecipazione delle comunità locale e grandi opere», partendo proprio dal caso della valle alpina, che – come spiega Pepino – è la punta dell’iceberg di «una situazione generale neocoloniale in cui le scelte di intere comunità sono sottratte, anche nel cuore dell’Europa, alle popolazioni interessate da grandi poteri economici e finanziari». La decisione di rivolgersi al Tpp è nata dopo aver tentato tutte le altre strade istituzionali, invano. Lo schema visto in Val di Susa non è solo italiano: «Assistiamo – sottolinea Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale e vicepresidente del Controsservatorio – a una globalizzazione delle grandi opere, dal Regno Unito alla Francia (l’aeroporto a Notre-Dame-de-Landes) fino alla Romania. Si ripetono approcci simili, dal mancato ascolto dei territori, se non attraverso consultazioni fittizie, alla repressione penale e militarizzazione dei luoghi, passando per la negazione di diritti fondamentali come la manifestazione del pensiero e la libera circolazione».

All’udienza inaugurale sarà presente tutta la giuria del Tpp, formata da membri di diversi paesi e appartenenza ideologica, scelti per le loro qualità scientifiche e morali: Perfecto Andrés Ibáñez, magistrato del Tribunal supremo spagnolo; Mireille Fanon Mendès-France, francese, del gruppo di lavoro di esperti per le popolazioni afrodiscendenti dell’Onu; Franco Ippolito (Italia), presidente di sezione e segretario generale della Cassazione, nonché del Tpp; Luís Moita, portoghese, professore di sociologia delle relazioni internazionali a Lisbona; Antoni Pigrau Solé, spagnolo, docente di diritto internazionale pubblico a Tarragona; Roberto Schiattarella, professore di politica economica a Camerino.

Il dibattimento è ovviamente pubblico, le prossime udienze si terranno nel mese di giugno e, sulla falsariga del procedimento penale, saranno ascoltati testimoni, acquisiti documenti, analizzate le risposte delle istituzioni. Nei trent’anni del Tpp ci sono stati casi in cui governi hanno presenziato alle udienze, vedremo se succederà anche in Italia. La sentenza, attesa a inizio estate, non avrà valore giuridico, ma sicuramente politico. Questa mattina Gianni Tognoni, segretario del Tpp, introdurrà i temi; a sostenere l’accusa oltre a Pepino, ci saranno il sindaco di Susa Sandro Plano e Françoise Verchère, del No aeroporto Notre-Dame-des-Landes.