La quarta edizione del festival per i diritti delle persone LGBT Prague Pride ha deciso di darsi un profilo internazionale, concentrando la sua attenzione sulla situazione delle minoranze sessuali nei paesi dell’ex Unione Sovietica. «Rispetto all’edizione precedente, in cui abbiamo deciso di dedicarci al tema più intimo del coming-out, quest’anno, abbiamo scelto di focalizzarci sullo stato dei diritti delle persone LGBT nell’Est Europa, dove la situazione non è buona», ci dice Bohdana Rambouskova, portavoce del Prague Pride.
Sebbene le attività del Festival siano mirate soprattutto verso le persone e le associazioni nei paesi dell’Est, evitando quindi rivendicazioni verso istituzioni politiche dei singoli stati, neanche il Prague Pride sembra sfuggire a una certa impostazione ideologica, che vede nell’establishment russo praticamente l’unico fattore di regresso dei diritti LGBT. Ma, come ricorda il gruppo Munich Queer Ukraine, una legge sulla propaganda gay del tutto simile a quella russa è stata approvata in prima lettura nell’ottobre 2012 dalla Rada ucraina con il consenso di praticamente tutti i partiti, dai filorussi dell’ex presidente Yanukovich ai filo-occidentali dell’ex premier Timoshenko. E neppure le destre conservatrici al governo dei fratelli Kaczynski in Polonia e di Viktor Orban in Ungheria hanno avuto bisogno di Putin per condurre la loro politica di discriminazione.

Fin dalle Olimpiadi di Sotchi i diritti degli omosessuali sono stati, non solamente in Repubblica Ceca, un terreno di scontro ideologico e propagandistico tra la Russia e molti paesi occidentali ispirati dagli Usa. «Siamo contenti del sostegno dell’ambasciata degli Stati uniti, che ci aiuta a rompere il gelo della società ceca, che ha paura delle novità e delle differenze», spiega Bohdana Rambouskova. Sebbene l’opera di avvicinamento al Prague Pride sia stata svolta già quattro anni prima dall’ambasciatore americano uscente Norman Eisen, recentemente l’approccio della diplomazia americana in questa materia si è fatto sistematico. Sin dal noto discorso pronunciato dall’allora segretario di stato Hillary Clinton all’Onu nel 2011, i diritti arcobaleno sono serviti all’amministrazione Obama per tingere con vernice fresca il vecchio adagio della difesa dei diritti umani, con cui la politica estera americana ha giustificato non poche delle sue ingerenze nel periodo post 1989.

Oltre all’ambasciata degli Stati uniti tra i partners del Prague Pride figura anche l’ambasciata dello stato d’Israele, il cui sostegno ufficiale ha fatto balzare sulle sedie gli attivisti della sezione ceca dell’International Solidarity Movement. «Credo che non si possa marciare per i diritti umani delle persone LGBT con il supporto di uno stato che commette dei crimini contro l’umanità e sgancia bombe sui rifugi dell’Onu», sottolinea Eva Adams dell’ISM. Gli attivisti denunciano un chiaro tentativo di pinkwashing da parte d’Israele, che sistematicamente cerca di migliorare la sua immagine internazionale con il sostegno alle manifestazioni LGBT. «Non consideriamo il sostegno dell’ambasciata d’Israele come un atto di propaganda», rifiuta invece ogni accusa Bohdana Rambouskova

L’immagine di paradiso dei gay che sta cercando di costruire Israele è vera soltanto in parte. Sebbene Tel Aviv sia nota per il suo Pride, manifestazioni simili in città con più alto valore religioso, come Gerusalemme, incontrano ancora forti resistenze. Inoltre molti diritti, dal riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso alla possibilità per gli omosessuali di adottare il figlio della persona convivente sono stati riconosciuti soltanto grazie alle sentenze della Corte Costituzionale, quindi al di fuori del circuito politico dello stato. Infine, come ricordano gli attivisti pro-palestinesi, i diritti umani e sociali vanno considerati nel loro insieme, mentre Israele sta cercando di bilanciare la violazione dei diritti umani dei palestinesi con l’accettazione dei diritti degli omosessuali.
Il caso del pride praghese riassume la situazione inedita in cui si trovano le associazioni per i diritti delle persone omosessuali. Queste ultime hanno spesso ricercato un forte riconoscimento delle proprie rivendicazioni da parte del mondo politico, e il sostegno sembra essere arrivato con una sorta di nuova agenda arcobaleno delle diplomazie occidentali. Ma come si è visto già negli anni Novanta, il tema dei diritti viene sovente strumentalizzato dalle diplomazie per fornire legittimità alle proprie azioni altrimenti difficilmente giustificabili piuttosto che per promuovere una maggiore libertà ed eguaglianza nel mondo. In fondo la mancanza dei diritti si critica meglio quando avviene all’estero piuttosto che in casa propria (o quella dei propri alleati).