La Grecia, che non fa i compiti a casa, sembra una bestia nera per i politici del centro Europa. Dopo la crisi del debito il Paese è in mirino a causa dell’arrivo massiccio dei rifugiati.
A confermare questa posizione è stato il vertice dei Paesi di Visegrad (Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria) con la presenza straordinaria della Macedonia e della Bulgaria, che si è svolto ieri a Praga. Il principale scopo del summit è stato quello di mandare un segnale ai partners dell’Europa occidentale. Secondo i Paesi di Visegrad infatti è necessario avere un piano B, qualora la Turchia non riesca ad adempiere alle proprie promesse in tema di sorveglianza dei propri confini. «Se fallisse la regolazione delle migrazioni tra Turchia e la Grecia, sarebbe possibile fermare il flusso dei migranti illegali alle frontiere della Macedonia e della Bulgaria», ha detto il premier ceco Bohuslav Sobotka. Duro anche l’ungherese Viktor Orban, che ha annunciato la costruzionedi nuove barriere ai confini del Paese. Tuttavia fonti diplomatiche fanno sapere che il piano B, ossia la chiusura del confine settentrionale della Grecia, potrebbe scattare anche nel momento in cui la Germania chiudesse i propri confini.
E propria la Germania ha preso con poco entusiasmo l’attivismo dei Paesi della regione, che si pongono sulla rotta di collisione con la politica della cancelliera Merkel. Prima del summit l’ambasciata tedesca a Praga ha cercato di capire i temi precisi della riunione. Ma l’iniziativa tedesca è colta di rimbalzo dai Paesi più ostili alle politiche di accoglienza. «La Germania ha protestato contro il summit di Visegrad – ha riferito domenica scorsa il premier slovacco Robert Fico – Secondo la Germania infatti bisogna trovare altre strade, ma se la Grecia decide di non controllare i confini esterni, allora si dovrà provvedere a questo in altro modo».
D’altronde i quattro Paesi di Visegrad non stanno con le mani in mano e alcuni hanno già inviato in Macedonia contingenti di polizia. Alla Commissione europea si chiede di aumentare i fondi a favore della Macedonia, affinché il piccolo Paese possa far fronte alla situazione, in cui si trova. Una richiesta di aiuto che tradisce un forte retropensiero: quello di bloccare i migranti facendo della Grecia un grande hotspot.
A fine vertice i leader dei quattro Paesi hanno sottoscritto un memorandum, in cui lamentano delle nuove divisioni tra i Paesi membri. Divisioni certamente accresciute dall’azione dei governi degli stessi paesi di Visegrad, che hanno rifiutato la misura simbolica delle quote di accoglienza dei rifugiati. Nella dichiarazione, sottoscritta anche dall’ungherese Orban e dalla premier polacca Szydlo, si auspica un’Unione sempre più forte, sebbene l’auspicio venga contraddetto quotidianamente dagli atti e dalle dichiarazione dei Paesi aderenti al gruppo.
Intanto anche sul piano interno le cose non sembrano volgere al meglio. Ormai sulla questione dei migranti lo scontro tra il premier ceco Sobotka, più aperto a concessioni sul tema delle migrazioni, e il presidente Milos Zeman. «Il nostro Paese ha bisogno che sia guidato da un uomo, che sappia difenderlo dall’ondata di migrazioni di massa», ha detto domenica il presidente, che ha fatto dell’islamofobia uno dei suoi temi preferiti. Sabato 6 febbraio si sono poi svolte a Praga delle manifestazioni contro i migranti alle quali hanno preso parte migliaia di persone, mentre le manifestazioni antifasciste hanno subito diversi attacchi da parte di neonazisti, che hanno anche cercato di dar fuoco a Klinika, il principale centro sociale di Praga. Come rivelano i sondaggi, circa due terzi dei cechi sono contrari a qualunque tipo di accoglienza. I tempi, in cui si festeggiavano l’abbattimento dei muri e il taglio di reticolati di filo spinato ai confini, sembrano decisamente tramontati.