Pompei ha un morto per ogni stagione. Questa volta, però, non si tratta di una delle centinaia di vittime dell’eruzione del 79 d.C. – i cui resti, imprigionati nello strato di lapillo, sono trasformati, sin da fine Ottocento, in calchi di gesso impressionanti per le contorsioni e le smorfie di dolore –, ma dello scheletro di un uomo di circa sessant’anni, che conserva persino un orecchio e i capelli.

La scoperta di una sepoltura monumentale localizzata presso Porta Sarno, a est dell’antico centro urbano, è stata annunciata ieri dal Parco Archeologico di Pompei. La struttura, risalente agli ultimi decenni di vita della città vesuviana, è costituita da un recinto in muratura, sulla cui facciata dipinta s’intravedono piante verdi su sfondo blu. Una lastra marmorea, posta sul frontone della tomba, restituisce il nome del defunto: Marcus Venerius Secundio, personaggio che compare anche nell’archivio di tavolette cerate del «banchiere» pompeiano Cecilio Giocondo.

COME RIPORTA l’iscrizione commemorativa, il proprietario del sepolcro fu uno schiavo della colonia romana, custode del tempio di Venere. Affrancatosi – ricorda ancora l’epigrafe – divenne «Augustale», ovvero membro del collegio dei sacerdoti dediti al culto dell’imperatore e, in virtù del suo nuovo status sociale, promosse «ludi greci e latini». Il direttore del Parco Gabriel Zuchtriegel si sofferma sui ludi greci, affermando che «è la prima testimonianza certa di esibizioni a Pompei in lingua ellenica». Ma l’équipe che ha effettuato gli scavi nell’area della necropoli di Porta Sarno, in collaborazione con l’Università Europea di Valencia, richiama l’attenzione soprattutto sul defunto, inumato (pratica inusuale per un adulto, in un’epoca in cui il rito funerario era quello dell’incinerazione) all’interno di una piccola cella, alle spalle della facciata principale della tomba.

LE SPOGLIE di Marco Venerio risultano, inoltre, parzialmente mummificate. Sebbene Llorenç Alapont, antropologo dell’Università di Valencia, dichiari che saranno le analisi dei tessuti a chiarire se la mummificazione derivi da un trattamento intenzionale, non è da escludere che siano le condizioni di giacitura ad averla determinata. Eccezion fatta per i rinvenimenti nell’oasi egiziana del Fayyum, le mummie attestate in età romana sono infatti estremamente rare (nota è la bambina di Grottarossa, esposta al Museo Nazionale Romano). A fronte di una scoperta di indubbio interesse, spiace constatare come la comunicazione del Parco Archeologico di Pompei persista nella spettacolarizzazione della morte e nel sensazionalismo, seguiti dalla propaganda ministeriale.

Gli «esperti» pompeiani, avvezzi a modalità da set cinematografico poco consone alle metodologie scientifiche, sembrano essere gli unici degni delle lodi di Franceschini. Il resto degli studiosi e dei lavoratori dei beni culturali può continuare le proprie ricerche e battaglie fuori dai cancelli del Colosseo, lontano dalle telecamere e dalle orecchie di Draghi.