Il 17 luglio dovrebbe arrivare la sentenza del tribunale di Nola, chiamato a decidere se Domenico Mignano deve oppure no tornare a lavorare allo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco. Una vicenda che si trascina da 6 anni.

L’ad Sergio Marchionne è appena arrivato al Lingotto. Un gruppo di operai e attivisti occupa per un paio d’ore una concessionaria del gruppo al Centro direzionale, espongono striscioni e dal megafono raccontano gli effetti delle riforme in atto sulla vita degli operai. L’azione era stata decisa in preparazione dello sciopero generale indetto allora dai sindacati di base. Con Mignano c’è persino una futura Rsa Fim del Vico.

Ma Mimmo è l’unico a cui arriva la lettera di licenziamento il 23 febbraio 2006 e poi ancora 20 novembre 2007. «L’accusa – racconta – è aver esposto striscioni che inneggiano alla lotta contro la precarietà e aver offeso dirigenti dell’azienda». Ieri, durante l’ultima udienza, Mimmo ha presentato un video dell’azione, visionato alle presenza dei legali Fiat: «Sono ammutoliti, le immagini smentivano del tutto la loro versione dei fatti».

Il licenziamento di Mimmo ha anticipato la successiva “deportazione” di 316 operai con un pedigree sindacale sgradito al Lingotto e/o con vertenze aperte o con Ridotte capacità lavorative dal Vico al Wcl, il reparto logistico di Nola mai entrato in funzione. La terza mossa della nuova era fu il conflitto frontale con la Fiom.

Ci si attende un lieto fine? «Il giudice mi ha detto che sono oberati di lavoro, che l’aula non è il luogo dove risolvere certi problemi e comunque il presidio fuori il tribunale era fuori luogo. Quindi un operaio cosa dovrebbe fare visto che scompariamo letteralmente dai giornali e nessuno ci difende?».

Del resto, anche in caso di esito positivo il Lingotto ha il piano B. A Mimmo e altri 4 lavoratori del logistico di Nola il 12 giugno è arrivata una lettera di contestazione, per tutti il finale è questo: «All’esito o in mancanza di sue giustificazioni in merito, ci riserviamo di adottare i provvedimenti del caso». Primo passo per una futura lettera di licenziamento. «Il testo è chiaro – spiega Mimmo – Se anche il giudice mi reintegra, la Fiat mi licenzia di nuovo. Sono stato la Rsu più votata di Pomigliano, adesso sono il più licenziato».

Al Lingotto non sono andate giù le proteste dopo il suicidio di Maria Baratto, la terza in pochi mesi a togliersi la vita tra gli operai del Wcl. Un gruppo di cassintegrati e licenziati il 5 giugno ha messo in scena, prima davanti ai cancelli di Nola e poi davanti la sede Rai di Napoli, l’impiccagione di un manichino con la foto di Marchionne sul viso, accanto indumenti da lavoro macchiati di rosso.

Scena simile il 10 all’ingresso 2 del Vico: il manichino è in baule circondato da lumini, accanto gli stessi indumenti macchiati di rosso. Per questo in 5 hanno avuto la contestazione che prelude al licenziamento. «Quindici anni fa difronte a tre suicidi – conclude – si sarebbe sollevata l’intera fabbrica. Oggi ci buttano via per un’azione teatrale e nessuno si meraviglia che la Fiat prenda soldi pubblici da anni per tenere vuoti 4 mila metri quadrati e 300 persone in cig».