Come in un ritorno al passato la Mostra di Pesaro (23-29 giugno) che festeggia i suoi cinquant’anni ci riporta agli anni sessanta in più di una proiezione, non solo per i magnifici capolavori scelti tra quelli delle edizioni passate, ma anche tra i film sperimentali e per la sensibilità artistica di alcuni film contemporanei.

Nell’appartamento newyorkese del film in concorso Swim little fish swim di Lola Bessis e Ruben Amar la pratica della libera creatività, dello scambio di esperienze, del supremo disprezzo del denaro è ancora viva grazie a Leeward, musicista di talento che rifugge dal facile successo e accoglie in casa amici e amici degli amici tra cui la giovane videoartista francese che si installa sul divano del salotto mentre cerca di portare a termine il suo lavoro prima che scada il permesso di soggiorno. Ed entra in sintonia con uno stile di vita ancora possibile, a dispetto dei mutui, fatto di sogni che il denaro non può comprare. È uno dei pochi film dove, pur ambientato in una situazione contemporanea, si riesce a ricreare lo spirito libero e antiborghese dei 60, credibile sia nel linguaggio (mix di narratività e situazionismo) che nelle aspirazioni, esordio di una coppia di registi (lei classe ’89, lui classe ’84) autori del premiatissimo Checkpoint, documentario realizzato al confine israelo-palestinese.
Uno dei due cuori del festival di quest’anno (l’altro è l’animazione) che si ricollega direttamente in più punti all’underground degli anni sessanta anche se nella sua versione più narrativa, è la sperimentazione americana, «Una panoramica sul cinema sperimentale statunitense nel nuovo millennio», una rassegna di trenta opere scelte in maniera assai rigorosa dal curatore Jon Gartenberg e proiettate, cosa che non si fa più nei festival, anche nelle copie originali in 16 e 35 mm.

Così proprio a Pesaro si è sentita per l’ultima volta poco prima della sua morte, la voce di Eli Wallach, uno dei «cattivi» del cinema Hollywoodiano, dare la voce al padre del protagonista di The moon and the son… film del 2004 di John Canemaker proiettato in piazza. Rarissima la programmazione di RR di James Benning (2007) che fa parte dei suoi studi sul paesaggio, copia in 16mm proveniente dalla cineteca di Vienna dove il treno è protagonista assoluto.

Non i vagabondi che salgono sui merci, né il capostazione che dà loro la caccia, né i viaggiatori, ma il treno, primo protagonista assoluto del cinema con i Lumière, i treni merci composti di più di cento vagoni che percorrono i più diversi paesaggi del west, inquadrati perfettamente in uno schema di sezione aurea, perforare la terza dimensione nel loro apparire e scomparire al centro del fotogramma, nastri semoventi come pellicole alla moviola, attraversare ponti e costeggiare montagne, deserti e campi innevati.

James Benning ha scoperto la sperimentazione fin dall’adolescenza, folgorato da Maya Deren dopo aver visto in tv Meshes of the afternoon e aver colto la differenza tra questo e i canoni hollywoodiani, soprattutto l’assenza dell’elemento umano che tuttavia nel suo film si intuisce in ogni scena per via dell’immane quantità di merci trasportate da un punto all’altro del continente, insieme all’elemento storico fondamentale per lo sviluppo del paese, la rete costruita per attraversare gli Stati da nord a sud e da est ad ovest.

Collegamento diretto con gli anni ’60 è poi il tributo dedicato ai film che spesso hanno trovato la loro strada proprio per essere stati proiettati a Pesaro (è il caso di C’era una volta un merlo canterino di Iosseliani (1970) proiettato per una sola settimana in Georgia e poi fatto sparire): così si possono rivedere tra gli altri i magnifici film di Ewald Schorm, Il coraggio quotidiano, I diamanti della notte di Nemec, capolavori della nova vlna cecoslovacca, L’uomo non è un uccello di Dusan Makavejev (’65) sublime sberleffo all’etica del lavoro nel regime socialista e tra i primi a suggerire, assai ostacolato, tematiche di libertà sessuale poi sviluppate nel film I misteri dell’organismo ispirato a Reich.