Internazionale

A Pechino «attentato premeditato»

A Pechino «attentato premeditato»Pechino, controlli sulla Tiananmen – Reuters

Cina Arrestate cinque persone provenienti dal Xinjiang, la regione a maggioranza musulmana

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 31 ottobre 2013

La polizia pechinese ha arrestato cinque persone, provenienti dalla regione nord occidentale del Xinjiang, considerate collegate all’incidente d’auto che lunedì, su piazza Tiananmen a Pechino, ha provocato cinque morti e trentotto feriti. Incidente che per la prima volta è stato definito «attentato terroristico».

Secondo la polizia locale si sarebbe trattato di un piano «premeditato e coordinato accuratamente», come emergerebbe dalle perquisizioni effettuate nelle case dei cinque fermati e dal materiale ritrovato all’interno dell’auto: bandiere e documenti ineggianti al separatismo e alla jihad. I fermati avrebbero inoltre confermato di aver collaborato con le persone presenti nell’auto e decedute a seguito dell’impatto. Secondo le autorità cinesi, inoltre, i tre a bordo del veicolo avrebbero cosparso l’interno di benzina, dopo lo scontro, come confermerebbero le analisi effettuate sui resti del Suv 4×4 schiantatosi nei pressi della Città Proibita. La televisione di Stato ha salutato il successo dell’operazione, sottolineando come i responsabili dell’attentato siano stati catturati solo dieci ore dopo i fatti, mentre il ministero degli Esteri ha espresso le condoglianze del governo ai familiari delle vittime.

Alla guida del mezzo sarebbe stato identificato Usmen Hasan; un nome che lascia presagire origini nello Xinjiang – la regione turcofona a maggioranza musulmana – come confermerebbe la targa dell’auto.
Insieme a lui c’erano la madre, Kuwanhan Reyim e la moglie, Gulkiz Gini. L’ipotesi quindi è un’autoimmolazione della famiglia, presumibilmente collegata a qualche evento di cui ancora non si conoscono i particolari. Di certo il Xinjiang è una terra che negli ultimi anni è stata contrassegnata da violenti scontri etnici, a cominciare da quelli del 2009 in cui morirono centinaia di persone e dopo i quali vennero condannati a morte una decina di uighuri. Nell’ultimo anno altre proteste hanno scosso la regione, provocando altri morti e arresti, mentre nelle ultime settimane un centinaio di uighuri sono stati arrestati con l’accusa di aver diffuso «materiale di estremismo religioso on line» all’interno della campagna contro i rumors su internet, voluta dal presidente Xi Jinping. È una «guerra di bassa intensità» che rende la regione del nord ovest cinese – fondamentale per Pechino, grazie ai suoi confini e alle sue risorse – un luogo che periodicamente viene chiuso all’esterno e nel quale molte famiglie di uighuri, hanno qualche tipo di esperienza con i sistemi repressivi cinesi.

Le persone arrestate, Husajan Wuxur, Gulnar Tuhtiniyaz, Yusup Umarniyaz, Bujanat Abdukadir e Yusup Ahmat, avrebbero già ammesso le prime responsabilità per l’attentato e sono state catturate con l’aiuto del governo del Xinjiang, un luogo che da oggi ricomincerà ad essere iper sorvegliato e controllato, mentre per i fermati, in caso di processo, niente sembra poter evitare una pena capitale.

Dilxat Raxit, il portavoce del World Uighur Congress, simbolo degli uighuri in esilio, si è detto molto critico nei confronti dell’operazione di polizia cinese: «Pechino ha sempre rivolto questo tipo di accuse contro gli uighuri, ma si rifiutano di rendere pubbliche e trasparenti le accuse», ha specificato alla Reuters. «Se un attacco è commesso da un cinese han, non è terrorismo, ha aggiunto, ma se è uno uighuro a commetterlo, ecco l’accusa di terrorismo, con lo scopo di inasprire la repressione nell’intera regione».

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento