Fino a ieri il Canale Villoresi, che corre tra il Ticino e l’Adda, attraversando il territorio a Nord di Milano, è stato mantenuto in asciutta totale. Solo mercoledì 26 aprile sono iniziate le operazoni di immissione dell’acqua. Il ritardo è una conseguenza «della necessità di conservare il più a lungo nei bacini lacuali l’acqua sino ad oggi accumulata, sia di quella di pulire e imbibire il fondo dei canali al fine di garantirne la miglior efficienza possibile, nel momento in cui le colture necessiteranno di essere irrigate».

Il canale, infatti, fa parte del sistema dei Navigli, gestito dal Consorzio di bonifica Est Ticino Villoresi, che già nel 2022 si era trovato ad operare per un lungo periodo con meno della metà delle risorse idriche abitualmente disponibili, tentando «in tutti i modi distribuire al meglio la poca risorsa derivata» spiega un comunicato. Siamo entrati nella fase della scarsità idrica e ci siamo arrivati, almeno in Italia, assolutamente impreparati, nonostante i modelli climatici e i dati raccolti da centri di ricerca pubblici evidenzino da anni una tendenza inequivocabile: c’è meno acqua, andrebbe perciò allocata al meglio.

L’ESTATE DEL 2023 POTREBBE ESSERE ancor più asciutta di quella del 2022, che secondo il rapporto annuale European State of the Climate 2022 redatto di Copernicus, il servizio Ue di osservazione della Terra, è stato il più secco in Europa da quando ci sono rilevazioni scientifiche, cioè dalla econda metà dell’800. Il 2022 è anche al primo posto per estensione delle aree colpite dalla siccità e al secondo posto per riduzione della portata dei fiumi (ben il 63% dei corsi d’acqua è stato al di sotto della media 1991-2020: è il sesto anno consecutivo che questo succede).

IN ITALIA LA MISURA DELL’EMERGENZA la descrive bene quello che accade sul bacino del fiume Po, assetato dalla riduzione delle precipitazioni nevose. «I dati più recenti indicano che la neve oggi disponibile a metà aprile è la stessa quantità che, storicamente, abbiamo nel mese di giugno inoltrato, specialmente sul Po: in altre parole, è come se ci trovassimo due mesi in avanti rispetto alla classica fusione nivale stagionale. Entriamo quindi nei mesi nei quali la richiesta di approvvigionamento idrico si fa più importante con due mesi di fusione che saranno probabilmente mancanti» ha spiegato Francesco Avanzi, ricercatore dell’ambito Idrologia e Idraulica di Fondazione CIMA.

Le piogge della settimana scorsa non possono niente contro l’assenza di neve, che nel bacino del Po tocca il meno 66% nell’inverno appena trascorso. Ecco perché ovunque nell’area padana ci sono forti preoccupazioni: la quota di riempimento del Lago di Garda risulta in prossimità dei minimi storici dal 1953. Gli altri grandi laghi non stanno meglio: Lago Maggiore al 43,8%; Lago di Como al 23,5%; Lago d’Iseo 34,3%; Lago d’Idro al 47,5%. Anche le sezioni principali del fiume Po registrano valori di portata inferiori a quelli osservati lo scorso anno nello stesso periodo, con condizioni idrologiche considerate già il 19 aprile scorso di «siccità estrema» e valori di portata media giornaliera che risultano inferiori a quelli definiti di magra in particolare nelle sezioni di Piacenza (185 mc/s), Cremona (260 mc/s) e Pontelagoscuro (380 mc/s).

A METÀ APRILE UN GRUPPO di organizzazioni, tra cui ci sono il Club Alpino italiano, Cipra e il Cirf, che si occupa di riqualificazione fluviale, hanno reso pubblico un’analisi che contiene anche un appello al governo, la cui risposta alla siccità è l’ennesimo decreto che affronta un’emergenza senza immaginare interventi strutturali. Si parla di nuove infrastrutture di accumulo dell’acqua, ad esempio, anche se «il riempimento dei volumi di accumulo esistenti sta diventando sempre più difficile a causa del mutato regime delle precipitazioni, a partire da quelle nevose; con i grandi laghi alpini e gli invasi artificiali semi vuoti sembra molto ottimistico che realizzarne di nuovi possa risolvere il deficit idrico». Scavata la buca, se l’acqua non c’è, la buca resta vuota, insomma.

«Per affrontare razionalmente la minor disponibilità di risorsa idrica causata dal cambiamento climatico bisogna eliminare i paraocchi che ci spingono verso le stesse soluzioni usate nei secoli scorsi e allargare lo sguardo. Innanzitutto, affiancando alle azioni sul fronte dell’offerta (volte ad aumentare la disponibilità di risorsa) misure che agiscono sul fronte della domanda (come rendere più efficienti gli usi della risorsa)» suggeriscono così nel documento. In questo ambito, diventa fondamentale e non più rimandabile «identificare una strategia nazionale e uno specifico sistema di incentivi capaci di orientare le scelte degli agricoltori verso colture meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti».

Chi opera sul mercato del riso, ad esempio, ha chiaro – almeno a leggere la testata giornalistica specializzata risoitaliano.ue – un conflitto con la semina di mais, che è la seconda coltivazione italiana per volumi di acqua utilizzati ma è in larga parte destinato all’alimentazione animale, negli allevamenti. «L’agricoltura intensiva è vittima e carnefice» riassume Greenpeace. Ma oggi viviamo l’epoca della scarsità, ed è tempo di cambiare.