Usciva nelle sale dell’arcipelago nipponico il 24 settembre del 1926 A Page of Madness, quello che a tutt’oggi è considerato uno dei film giapponesi più importanti ed un pezzo di storia, cinematografica e letteraria ma non solo, del Sol Levante. Co-scritto da un giovane Yasunari Kawabata, premio nobel per la letteratura nel 1968, e diretto da Teinosuke Kinugasa che tre decenni decenni dopo avrebbe ottenuto una certa notorietà in occidente con Gate of Hell, con cui vinse la Palma d’Oro nel 1954, il film si pone al crocevia di una serie di tendenze sia nazionali che internazionali ed è un opera davvero unica.

 

 

Ritenuto perduto per decenni, uno dei negativi fu ritrovato dallo stesso regista durante gli anni settanta in una baracca nel suo giardino e restaurato, è diventato negli ultimi anni un vero e proprio oggetto di culto. La trama c’è ma è quasi secondaria vista la forma sperimentale e prettamente visiva dell’opera, un portinaio che lavora in un manicomio dove è ospitata la moglie, del resto il gruppo letterario a cui Kawabata apparteneva, il shinkankaku ha (scuola delle nuove percezioni), come il nome suggerisce dava più importanza alle sensazioni evocate da letteratura o immagini in movimento che non alla storia vera e propria.

 

 

A complicare e rendere allo stesso tempo interessante ed unico A Page of Madness è anche il fatto che secondo alcuni studiosi non si tratterebbe di un film d’avanguardia ma un lavoro da esperire, come tutti i film muti giapponesi del resto, attraverso la «narrazione» del benshi. Era questo un narratore che accompagnava le proiezioni dei film muti spiegando o dando la sua interpretazione delle immagini proiettate sul grande schermo, come una sorta di direttore d’orchestra che donava al film un possibile senso.

 

 

Anche se sono abbastanza evidenti le influenze del cinema espressionista tedesco, Wiene e Il Gabinetto del dottor Caligari su tutti, dell’avanguardia francese o del formalismo russo, il film è anche il risultato delle varie poetiche scaturite e legate ai movimenti artistici dell’epoca Taisho (1912-1926), e del lavoro collettivo di un gruppo di giovani – l’età media degli attori e del gruppo che realizzò il film era venticinque anni – che andava scoprendo e sperimentando un nuovo mezzo espressivo. Non lineare nel suo andamento – anche se dopo più di una visione la storia comincia ad emergere abbastanza nettamente – e poeticamente lisergico nei suoi elementi visuali e formali, montaggio frenetico e nettamente diverso per numero di cut dagli altri lavori dell’epoca, il film è ricco di esperimenti visivi come immagini sfocate e distorte, doppie esposizioni e split screen.

 

 

Le incredibili scene iniziali di danza tolgono ancora oggi il fiato ed il caos che scoppia all’interno del manicomio verso la metà del film rivaleggia con il miglior Pudovkin, senza contare poi le malinconiche e toccanti scene finali con le maschere a coprire tutti i pazienti, forse le immagini più simboliche ed iconiche di tutta l’opera.
A Page of Madness è uscito in Blu-ray quest’anno per l’americana Flicker Alley con un delirante ma perfetto accompagnamento musicale fornito dalla Alloy Orchestra e l’anniversario della prima uscita nei teatri giapponese verrà celebrata domenica 24 settembre a Londra con un evento davvero speciale. La pellicola in 35 millimetri, degli originali 103 minuti sono stati ritrovati e ricostruiti 71, sarà infatti proiettata con l’accompagnamento live di un benshi, un evento imperdibile per chi si troverà, fortunato, nella capitale inglese.
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