«Le misure prese dall’Italia ci permettono di concludere che che i requisiti del Patto di Stabilità e Crescita sono rispettati per il 2017», twitta il commissario europeo all’Economia Moscovici. Il verdetto ufficiale della Commissione conferma: «Nessuna altra misura è quindi necessaria in questa fase». La promozione della manovrina con cui l’Italia ha corretto i suoi conti in misura pari allo 0,2% del Pil era prevista e già stata annunciata al governo, ma la soddisfazione a palazzo Chigi, al Mef e al Nazareno è massima. Il Pd ha un motivo in più per festeggiare: Renzi ha tenuto duro sul bocciare un aumento delle accise sulla benzina che sembrava inevitabile, è arrivato per questo a momenti di tensione anche alta con il ministro dell’Economia Padoan, e alla fine l’ha spuntata. Avanti così.

Padoan lo sa e alla richiesta esplicita della Commissione di reintrodurre l’Imu per la prima casa per i redditi alti reagisce come Renzi comanda, pur nel suo più compassato stile: “Le riforme fiscali vanno viste nel loro insieme. Direi che cambiare idea su una tassa che è stata appena cambiata da pochi mesi non è una buona idea”. Un esempio di understatement: quando Bruxelles ha avvertito Roma che nel comunicato di oggi sarebbe stata inserita l’esortazione a tassare la prima casa dei più ricchi, Renzi la ha trovata pessima, irricevibile. Con le elezioni alle porte, significherebbe ammettere di aver sbagliato tutto. Il segretario del Pd, il premier e il ministro dell’Economia hanno fatto il punto al telefono domenica e hanno deciso di rinviare al mittente.

Nel merito la Commissione ha tutte le ragioni, e il leader di Si Fratoianni fa benissimo a segnalare che «a Padoan proprio non va giù il far pagare i più ricchi». Ma dal punto di vista della propaganda elettorale è difficile dare torto a Renzi. La stessa Commissione, per bocca di Moscovici, s’impiccia di elezioni. Dichiara di voler dare «fiducia all’Italia perché resti un Paese al cuore dell’eurozona e rispetti gli impegni». Ma allo stesso tempo chiede una misura che indebolirebbe drasticamente proprio Renzi, non avendo ancora ingoiato il rifiuto del governo Renzi di soprassedere sul taglio dell’Imu come chiesto a più riprese da Bruxelles.

Conoscendo Renzi, si può essere certi che l’Imu per i ricchi non tornerà, o almeno non prima delle elezioni. Ma qualcosa di grosso, e quindi di doloroso, il governo in autunno dovrà fare. Su questo punto la Commissione è tassativa: «Per il 2018 sarà necessario uno sforzo di bilancio sostanzioso». La formula vaga è frutto di una mediazione all’interno della commissione tra le colombe come il presidente Juncker e i falchi capitanati dal suo vice Dombrovskis. L’ordine è chiaro, ma almeno non quantificato. Il «rispetto dell’Italia del criterio del debito» verrà «rivalutato nell’autunno 2017». Il momento della verità sarà quello.

Nell’attesa non è che la Commissione lesini in consigli e indicazioni. La prima è quella sull’Imu, ma in generale la richiesta precisa è «spostare il carico dai fattori produttivi a tasse meno dannose per la crescita». Segue la raccomandazione di intervenire sui crediti non esigibili della banche, notificata anche ad altri cinque Paesi. Infine precisare i tempi di approvazione e messa in opera delle riforme, che in sé sono buone, ottime, però «l’assenza di dettagli sull’adozione e di un calendario dell’attuazione limita la loro credibilità».

Il sentiero sarà impervio, e senza l’intervento richiesto sull’Imu per i redditi alti lo sarà anche di più. Ma molto dipenderà dalla situazione dell’economia italiana. L’Istat vede rosa. Prevede un aumento del Pil dell’1%. È un decimale in meno rispetto all’1,1% fissato dal governo ma anche uno in più rispetto alle ultime stime dello stesso Istituto e a quelle della Commissione europea. Il miglioramento dovrebbe derivare da un aumento della domanda interna, dato che «la crescita dei consumi», nonostante l’inflazione in aumento, dovrebbe essere sostenuta «dai miglioramenti del mercato del lavoro». L’ottimismo, quando non si è gufi, è sempre meritorio. Però la crescita del primo trimestre non è andata oltre lo 0,2%. Così il dubbio che l’Istat un po’ esageri in visioni rosee è proprio inevitabile.