A Ostia, 230 mila abitanti, si vota oggi per il primo turno delle elezioni municipali. C’è un’analogia, al momento, tra il contemporaneo voto siciliano e quello del municipio del litorale romano: i sondaggi dicono che si contendono la vittoria il centrodestra e il Movimento 5 Stelle. Il Pd è fuori gioco con la candidatura poco più che di bandiera di Athos De Luca, uomo di un’altra stagione, quella delle giunte di Rutelli e Veltroni, che appare quanto mai fuori luogo.

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IL CENTRODESTRA si presenta unito. Sostiene la consigliera municipale uscente Monica Picca. I grillini sono dati in calo rispetto al 43 per cento delle comunali di un anno e mezzo fa. Hanno scelto di candidare Giuliana Di Pillo, anche lei già consigliera municipale, molto vicina a Virginia Raggi. «L’astensionismo è il vero nemico da battere. Parlate con i vicini e ditegli di andare a votare», dice ai suoi la sindaca di Roma, osservando le piazze non proprio piene dei comizi finali. Tutte le piazze apparivano sguarnite.

Il non voto è l’incognita che potrebbe creare diverse anomalie. La prima è il successo, annunciato come una profezia che si autoavvera, dell’estrema destra di CasaPound. I «fascisti del terzo millennio» hanno il volto del trentaduenne Luca Marsella. Hanno investito molto sul quartiere di Nuova Ostia, altro luogo che racconta Roma e l’Italia intera. Qui si trovano le case popolari costruite per ospitare i vecchi baraccati, un terzo delle quale sarebbero abitate da «abusivi». All’epoca questi palazzi erano una conquista che presagiva condizioni migliori. Ma le piazze in cui le sinistre sfondavano sono diventate ghetti dove costruire egemonia con la forza oppure praticare quello che Marsella chiama «sindacalismo del popolo». Assieme ai suoi camerati ha condotto una campagna elettorale sul modello di Alba Dorata in Grecia, fatta di raid squadristici in nome del decoro, distribuzione di alimenti ai più poveri e campagne contro i migranti esemplificate nella ossessiva richiesta di sgombero della colonia Vittorio Emanuele, occupata dai movimenti per la casa. Soprattutto, quelli di CasaPound sono accusati di relazioni pericolose con personaggi scomodi della malavita locale, culminate nell’appello al voto di Roberto Spada, fratello di Carmine, quel «Romoletto» considerato uno dei capi del clan che secondo le sentenze avrebbe portato una mafia autoctona nella capitale. L’Alba Dorata all’italiana e le attività degli Spada convergono nella costruzione di una forma perversa di welfare, all’interno del quale, dicono le sentenze sulle attività del clan, funzionerebbe il racket delle case popolari e la loro illecita assegnazione a soggetti compiacenti. Risulterebbe intestata alla moglie di Roberto, ad esempio, la palestra attiva abusivamente in spazi comunali che negli anni scorsi ha organizzato eventi assieme a CasaPound.

VA DETTO CHE LO STESSO Roberto Spada due anni fa si era schierato con il M5S. Il suo spostamento politico è emblematico. Ai tempi della trionfale elezione di Raggi ci fu l’assedio delle ridotte del centro storico da parte dei municipi periferici conquistati dai grillini. Fu fatta facile sociologia e vennero disegnate mappe improvvisate. In quell’occasione i margini affidarono la loro vendetta ai grillini. Grazie a questa vittoria disincantata e volatile, il baricentro politico si spostò su Raggi e sul suo inner circle. A guardare la composizione sociale di quel voto, accadde che la voglia di riscatto delle periferie finì in mano alla piccola avvocatura in cerca di rivincite. Ostia parrebbe dirci che quella delega è scaduta. Questo grande lembo di periferia sud occidentale potrebbe regalare un successo alle destre e alle loro versioni più estreme, forze che nulla hanno a che vedere con la retorica dell’onestà.

FORSE PER LA PRIMA VOLTA, i grillini si misurano con una rabbia che non riescono a captare. Temono la disillusione e la sfiducia verso la politica più degli altri partiti. Silvio Berlusconi, arrivato da queste parti, si è rivolto proprio «alle persone deluse, scoraggiate, scettiche», tentando di vendere al prossimo l’ennesima magia. Matteo Renzi ha scelto di non farsi vedere.

Prova a sparigliare, ed ecco l’altra anomalia, Franco De Donno. Il prete della Caritas locale si è messo in testa di colmare il divario che separa «la strada dalle istituzioni». Accanto a lui nella lista che prende il nome di Laboratorio civico ci sono tutte le forze a sinistra del Pd. «In questa campagna elettorale ho visto edifici pubblici in abbandono, beni preziosi che non si possono far decadere. Dobbiamo puntare sulla valorizzazione del territorio, sull’archeologia, le risorse naturali, le spiagge, il verde», ha detto De Donno alla volata finale.