L’esplosione della rivolta contro le molestie sessuali è giunta inaspettata e inaspettata è stata la sua enorme estensione geografica. Questo ci dice quanto fossimo abituate a destreggiarci da sole tra offese e umiliazioni, tra pericoli; quanto ci siamo forzate a soffocare e nascondere il dispiacere e la rabbia, ad accettare che il nostro percorso accidentato fosse da considerarsi normale; cercavamo poi di sminuire e dimenticare le mortificazioni adattandoci ai prepotenti, ci siamo abituate così a non avere autorità ed a riconoscerla in loro, perdendo la forza originaria della nostra giovinezza.

Non solo il sesso ci ha coinvolte in molestie ma la discriminazione sessuale. Altre violenze ci hanno umiliate a causa della difesa della carriera e dello stipendio, della paura di distinguerci dal potere e divenire il suo bersaglio; in quella di rimanere emarginate dal gruppo, che sia amicale o politico, familiare o di lavoro.

Ma la storia ci mostra che non finisce mai la ribellione a ciò che si è subito, a ondate giunge la forza delle donne, quest’ultima è stato merito di Asia Argento aver avviato la protesta mettendosi in discussione pubblicamente e affrontando le ritorsioni.

Le donne coraggiose riaprono il pozzo senza fondo del ricordo anche per noi più anziane; quante molestie e violenze ci hanno mal-formate!

E’ stato orribile vivere sotto la pretesa maschile di dominare la donna e nell’ombra dell’incombere di desideri lascivi che la prendono a pretesto. E’ stata la norma della mia crescita infantile e giovanile negli anni 50 e 60: vedevamo le donne difendersi dal divenire zimbello senza riuscirci e imparavamo noi stesse a destreggiarci in questo gioco maschile celando la mortificazione; ci abituava ad accettare di non avere autorità e a riconoscerla nei molestatori.

Anche quando ci sentiamo libere rimane un mondo condiviso che ci pesa addosso, un contesto costringente la libertà, servono ancora tante parole per mutare la relazione tra i sessi e tra le persone, molte voci; il discorso deve continuare su ogni cosa che ci offende e ci nuoce.

Le violenze subite le facciamo nostre, anche se non vorremmo, ci rendono incerte a riguardo della nostra volontà perché qualche cosa che non volevamo è successo; sono traumi che ci rendono sfiduciate rispetto alla nostra capacità di preservarci. Visualizzarli, raccontare quello che è successo aiuta a disgiungere noi dall’aguzzino ( aguzzina ), a distinguere le nostre motivazioni dalle sue, a districarci dalla dipendenza che si è instaurata; ritroviamo nella nostra compromissione quale è stato il desiderio legittimo, la nostra volontà, oppure constatiamo la nostra inermità, il suo valore umano tanto deriso. E’necessario denunciare la molestia e il molestatore per riprenderci la nostra forza.

Il coraggio di denunciare chi vive di rendita della inermità altrui si è manifestato perchè è maturata nel mondo l’autorità delle donne, e forse anche perchè un paese intransigente ha mostrato di attuare immediate gravi punizioni.

La punizione da parte delle istituzioni è decisiva nel creare consenso culturale.

In Italia la molestia sessuale è rimasta un gioco, un divertimento, tanto più quanto più è fatta dal potente, questi storicamente ne è sempre stato legittimato; la molestia all’inverso è sempre stata la gogna delle donne, tanto più quanto hanno osato lamentarsene. Proprio per questo lo sforzo di pretendere che la molestia sia sanzionata, è uno sforzo politico importante.

Ci serve a costruire il disprezzo per chi si approfitta; a riconoscere la forza in chi ha rispetto della debolezza altrui e sa riconoscere l’integrità di ogni essere. Noi possiamo puntare sulla osservazione di queste differenze.

A Pisa il 22 settembre c’è stato un incontro internazionale sulle molestie nei luoghi della scienza: università e laboratori di ricerca, organizzato dalla associazione Donne e scienza e da EPWS (L’associazione Europea delle donne scienziate).

Molte ricerche e tesi sono state esposte, io sono interessata a mettere in evidenza come la divisione storica dei compiti tra i generi abbia fatto delle donne le invisibili nel mondo pubblico, e specialmente nelle università e nel mondo scientifico, fino a pochi anni fa.

L’abitudine degli uomini a rapportarsi solo tra loro e quella di immaginare le donne in altri ambiti e in altri legami, proprio quelli che sono utili a loro stessi per disporsi all’investimento lavorativo libero da altre remore, sono state una grande violenza operata sul sesso femminile ed altre ne ha permesse: come affidare alle donne appunto ogni altra necessità dell’esistenza di tutti.

Oggi le nuove generazioni hanno più visibilità ma ancora va creata la consapevolezza che manca nella storia pubblica e in quella scientifica, il segno autentico delle esperienze femminili con il pensiero e gli intendimenti che queste comportano.

La divisione dei compiti va ancora testimoniata ed illustrata: è il contrario del tacere il lavoro domestico, quello relazionale e di cura, il tempo che richiedono, il denaro che costano, l’investimento emotivo e la distrazione che comportano al lavoro pubblico e a quello di ricerca.

Questo conflitto va descritto e deve trovare elaborazioni decisive nelle norme che fanno i tempi e i titoli della carriera per tutti.

L’abitudine delle donne a vivere in un mondo pubblico di soli uomini ci ha rese deboli, ci ha inferiorizzate: non ci fidiamo del nostro modo di vedere le cose, neppure abbiamo fatto sentire la nostra voce nell’organizzazione del lavoro per metterlo in rapporto al lavoro di cura e relazionale che solo noi abbiamo condotto nel privato. Non è uno stereotipo la debolezza delle donne nella carriera, è una causa vera: è la doppia presenza in famiglia e sul lavoro a carico delle sole donne. Una fatica sovrumana per loro, che spaventa per la probabile perdita della maternità o della vita amorosa, oppure per la delusione di non riuscire a lavorare come ricercatrici ed essere emarginate.

La molestia sessuale è questa soprattutto: non riconoscere il lavoro della affettività e maternità e relazionalità, chiamato della cura, come un lavoro vero che va compreso nel lavoro pubblico perché non deve impedire una uguale disponibilità di se alle donne e agli uomini.

L’organizzazione del lavoro pubblico e quello intellettuale e di ricerca deve strutturarsi nel riconoscimento di quello privato, necessario, umanizzando la vita e i tempi delle giornate per tutti. Vanno contratte le pretese di tempo di lavoro e titoli che danno adito alle carriere e al riconoscimento del lavoro scientifico, per tutti.

Ci vuole un sovvertimento dell’organizzazione, degli orari e dei valori, rispetto a tutto il lavoro necessario per vivere. Le sociologhe e alcuni sociologi hanno ottenuto per cominciare che i figli siano nominati nei titoli alla carriera.