Niguarda è un quartiere a nord di Milano, fiancheggiato da un’arteria che porta verso la Brianza. Un quartiere operaio caratterizzato dai casermoni che accolsero l’immigrazione meridionale degli anni Sessanta del secolo scorso, e lungo quell’arteria costituita da viale Zara e viale Fulvio Testi di buon mattino i tram e gli autobus portavano gli operai verso le grandi fabbriche di Sesto San Giovanni. Su viale Fulvio Testi, al termine del loro turno di lavoro, centinaia di operai con il loro impegno volontario costruirono un palazzo di sei piani lungo il quale campeggiava la scritta a caratteri cubitali L’Unità, la redazione nazionale del giornale.

Oggi, a poche centinaia di metri da quel palazzo, poi venduto ai giapponesi, un gruppo di ragazzi pratica il parkour. Hanno recuperato uno spazio di proprietà del Comune di Milano lasciato all’incuria per dodici anni, inizialmente progettato come spazio per ospitare un impianto di bowling in continuità con la piscina Scarioni, aperta appena tre mesi all’anno, nel periodo estivo. Quello spazio di 2 mila metri quadri lo hanno ripulito e reso attivo. Per anni il loro luogo di allenamento è stata la strada, i grandi spiazzi all’aperto, gli slarghi davanti alle stazioni periferiche della metropolitana, Bonola, San Donato, Famagosta, il loro pubblico le migliaia di persone che al termine della giornata lavorativa uscivano dalle stazioni del metrò. Raccontano con una punta di orgoglio del raduno di parkour del 2011, tenutosi davanti all’uscita della metropolitana Romolo, al quale parteciparono circa 350 ragazzi provenienti da ogni parte d’Europa, il tutto con il passaparola su internet.

La nostra è un’attività destrutturata” afferma Davide Polli 30 anni, un passato lavorativo in una ditta di import alimentare e anima dell’associazione Asd Parkour Milano ”che nasce nella strada e richiede una preparazione fisica rigorosa, non si può improvvisare. E’ fastidioso quando parlano di noi come di quelli che saltano da un tetto all’altro o ci paragonano a quelli degli sport estremi. Anche le organizzazioni sportive ci catalogano nell’anonimo elenco “altri sport” ma la nostra attività si chiama parkour. Vogliamo dimostrare che nulla è impossibile, se mentalmente concentrati e fisicamente preparati, qualsiasi obiettivo può essere raggiunto”.

Soffrono, e non poco, la discriminazione che pesa sul loro mondo, a tratti ribelle, da parte dello sport ufficiale, secondo cui un ginnasta che fa capovolte e volteggi carpiati a corpo libero è considerato un atleta a tutti gli effetti e con l’onore delle cronache e loro no, anche se annoverano performer di fama, chiamati spasso sui set cinematografici per riprese acrobatiche o pubblicitarie, grazie alle abilità motorie, che derivano dalla pratica del parkour o del free running, quest’ultimo più acrobatico e spettacolare.

La loro impresa, però, si compie all’interno dello spazio dato in concessione da Milanosport, la partecipata del Comune di Milano che si occupa degli impianti sportivi, e alcuni di loro stanno facendo salti mortali, al di là degli allenamenti, da circa un anno a questa parte, impegnando risorse finanziarie non irrilevanti per dei giovani. Lo spazio di 2 mila metri quadri è una delle prime strutture in Italia dotato di impianti polifunzionali specifici. Qui hanno trovato spazio anche altre discipline alternative, come il free running, la preparazione allo snowbord free style, all’interno di un vasto movimento che in Italia va sotto il nome di Indysciplinati, fino alla più tradizionale boxe con un ring costruito interamente da loro.

“Da aprile lavoriamo dodici ore al giorno in sette o otto persone, per completare quest’opera” dice Domenico Crea da sette anni con la passione del parkour, medico disoccupato, che si arrangia a lavorare a giornate con pazienti nella camera iperbarica di un centro privato o a racimolare qualche euro rilasciando certificati medici per l’attività sportiva “ abbiamo fatto tutto da soli dai listelli del parquet tagliati e incollati uno a uno fino al legno comprato e portato dal falegname per costruire gli impianti per il parkour secondo le esigenze di allenamento specifiche da noi ritenute indispensabili in rapporto alle diverse discipline che si praticano” afferma con una punta di orgoglio.

Sono del quartiere Niguarda e di altre zone limitrofe che lavorano con ragazzi disagiati, bulletti che potrebbero prendere altre strade, ma quando si trovano di fronte agli esercizi di acrobatica si convincono che per raggiungere certi risultati occorre l’allenamento rigoroso e costante. Collaborano con il Comitato paralimpico, sono impegnati con i disabili, l’insicurezza che si trasforma in sicurezza. Raccontano con orgoglio che due di loro, l’estate scorsa sono stati invitati in Norvegia per tenere uno stage, e le meraviglie di quei posti a cominciare dal fatto che palestre come la loro sono attrezzate di tutto punto a spese dei Comune e godono di finanziamenti statali.

Si ritengono fortunati i ragazzi di Niguarda per aver avuto in concessione questo spazio, consapevoli che la Norvegia sia lontana, ma i soldi per ristrutturarlo li hanno messi loro. Certo avrebbero preferito essere seguiti da qualche funzionario del Comune e non lasciati a se stessi nel mare magnum della spinosa burocrazia italiana. Quando salutiamo, anche i ragazzini delle elementari saltano, corrono e si rotolano a terra. Il parkour è questo.