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A New Delhi ti porto a comprare la carne

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India Secondo uno dei miti più duri a morire, l’India sarebbe la patria del vegetarianesimo ma gli indiani che mangiano cibo non-veg superano il 62 % della popolazione

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 26 settembre 2017

«Sei Veg o Non-Veg?» in India, talvolta, si chiede perfino al momento dell’affitto di un appartamento.

Se il proprietario di casa è vegetariano, e lo è per prescrizione religiosa (hindu) e castale (alta), è probabile che non abbia piacere ad affittare casa a inquilini non-veg per una questione di «purezza», che trascende l’eventuale fastidio olfattivo. Problema più per i potenziali inquilini indiani che per noi «gora», i bianchi, a cui vengono affibbiati una serie di caratteri dominanti che spazia dalla promiscuità sessuale al non-vegetarianesimo.

Nella gerarchia indiana del non-veg esistono vari gradi di impurità: dal consumo di uova (che in India non sono considerate alimento vegetariano) via via risalendo la fauna da tavola d’acqua dolce o salata fino a pollame, ovini e – blasfemia! – bovini sacri. Secondo uno dei miti più duri a morire, l’India sarebbe la patria del vegetarianesimo, in virtù della spiccata spiritualità non-violenta che ispirerebbe le azioni del popolo indiano. Hindu, in realtà, nel senso comune nostrano, senza il bisogno di addentrarci nei distinguo del pluralismo religioso indiano, dove le enormi minoranze musulmana e cristiana portano avanti da secoli gloriose tradizioni culinarie non-veg. Secondo un sondaggio condotto dal National Sample Survey Office indiano nel 1993-94 e nel 2011-12 su un campione di oltre centomila famiglie, gli indiani che mangiano cibo non-veg superano il 62 %della popolazione totale.

E ancora, un sondaggio governativo pubblicato nel 2014, porta la popolazione non-veg indiana al 71% (e no, non è perché mangiano tutti uova, gli «eggetarian» sono poco più del 3%). Significa che, per assurdo, camminando per le strade di New Delhi si incontrano quasi tre non-veg ogni quattro persone. In quartieri come Nizamuddin West o intorno alla Jama Masjid, la moschea rossa che svetta nella città vecchia, la proporzione si impenna radicalmente, decretando una maggioranza schiacciante di impuri mangiacarne, come chi scrive.

L’umanità che anima le zone popolari di Delhi dove il consumo di carne è socialmente accettato, spesso ma non sempre a maggioranza musulmana, offre degli scorci destabilizzanti per un occidentale urbano, abituato ad acquistare carne nella comodità asettica e climatizzata dei supermercati.

Nonostante nelle principali città indiane siano ormai in voga servizi di spesa carnivora telematica, con pezzi di pollo e montone crudi consegnati all’uscio debitamente imbustati, l’esperienza dell’acquisto di carne dai macellai del subcontinente è la prova del nove per i titubanti: se si supera anche quella, non c’è speranza, si è onnivori al punto di non ritorno.

In un paese dove il concetto di catena del freddo fatica a diffondersi capillarmente e l’introduzione dell’abbattitore di temperatura nelle macellerie è vicina quanto quella del teletrasporto, i macellai indiani detengono un fascino burbero senza tempo.

Seduti a gambe incrociate su un piano soprelevato, in botteghe dove l’odore di sangue animale è pungente e dove gli standard igienici rimangono sempre rivedibili, il macellaio opera a mani nude; brandendo polli e pezzi di montone contro una lama affilatissima bloccata tra l’alluce e l’indice del piede, anch’esso nudo, sporziona la carne in pezzi grandi, medi o piccoli, senza possibilità di trattativa per tagli più fantasiosi (niente fettine, per intenderci). Prima di essere cucinati, per un rito temo più scaramantico che scientificamente comprovato, i pezzi dovranno poi essere sciacquati e lasciati a macerare in frigorifero almeno mezz’ora dopo averli spruzzati con del lime, «che disinfetta».

Coi dovuti scongiuri, a questo punto si potrà procedere all’esecuzione di una delle centinaia di ricette contenute nella categoria semplicistica del «curry». Questo attributo generico, affiancato virtualmente a qualsiasi prodotto commestibile del subcontinente, indica in realtà una modalità di cottura «con spezie».

Quali? Rimboccatevi le maniche e sbizzarritevi cercando videotutorial su Youtube (quelli del superchef Sanjeev Kapoor, o col suo marchio, sono molto famosi e tendenzialmente di facile esecuzione), per iniziare a orientarvi tra tradizioni culinarie che spaziano dall’Himalaya ai tropici, con annesse influenze coloniali.

Per chi dovesse passare per New Delhi, il miglior pollo di tutta la città viene servito a prezzi irrisori all’Aslan Chicken Corner, frequentatissimo ristorante non-veg nei pressi della Jama Masjid, nella città vecchia. Il piatto forte è il «butter chicken tikka», ossia pezzi di pollo lasciati macerare in spezie e yogurt, cotti alla brace e immersi in una salsa a base di burro, aglio e yogurt: servito direttamente in un’unica ciotola di metallo dalla quale i commensali attingono servendosi di «rumali roti» (delle specie di piadine grandi e sottili come un «rumal», fazzoletto o straccio in hindi). Se ne consiglia il consumo esclusivamente a temperature ragionevoli, tra i mesi di ottobre e marzo, per non incorrere in conseguenze gastrointerinali tragicamente in deroga alle Convenzioni di Ginevra.

E il manzo? Coi tempi che corrono, tra invasati ultrahindu pronti a linciare al solo sospetto di consumo, trasporto o macellazione di mucche, reperire della carne di manzo di contrabbando – a New Delhi è vietato venderla e/o servirla – è diventato ancora più rischioso.

È usanza ripiegare sulla carne di bufalo, bovino cui sono negati i privilegi della sacralità hindu, pur trattandosi di vera blasfemia per chi proviene da stati dove la macellazione della mucca non figura come reato – Bengala Occidentale, Kerala e tutti gli stati del nord-est – e il consumo di manzo è un bastione culturale inespugnabile, indipendentemente dalla confessione religiosa. Non rimane che la carboneria del manzo, circoli ristretti di fedelissimi conterranei che, rigorosamente in lingua locale, nelle bettole di cucina regionale si scambiano gesti e parole in codice per superare la reciproca diffidenza e mettere le mani, finalmente, su un dannato e delizioso beef curry.

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