Tra i grandi rimossi dall’agenda politica e dal racconto mediatico del nostro Paese spicca da decenni il non individuare nell’emergenza ambientale presente lungo tutto il territorio nazionale una delle questioni a cui dare risposta con urgenza.

A parte la battaglia tutta politica in corso sul destino delle cosiddette “grandi opere”, Tav e Tap in testa, la drammatica contaminazione ambientale diffusa nelle varie Terre dei fuochi nazionali, l’impatto feroce dei poli produttivi ed estrattivi, le bonifiche ancora da effettuare e le ricadute in termini di salute pubblica restano ancora questioni che preoccupano molto più cittadini e associazioni che decisori politici ed enti pubblici.

Né gli allarmi della scienza sull’incalzare minaccioso dei cambiamenti climatici sembrano fornire elementi sufficienti a pianificare l’uscita dai combustibili fossili o a predisporre piani di intervento contro il dissesto idrogeologico che aggrava l’effetto di un clima sempre più instabile. Eppure in questo momento ovunque nel mondo centinaia di migliaia di persone sono in fermento e protestano per chiedere impegni maggiori nella corsa contro il tempo per salvare il pianeta; ragazzi e adulti, attivisti e cittadini sono sempre più consapevoli che per spingere a un cambiamento serve un’enorme pressione esercitata dal basso.

L’Italia non fa eccezione. Nelle prossime settimane due importanti eventi porteranno in piazza il nesso tra ambiente e diritti, tra cambiamenti climatici e modello economico, tra partecipazione alle scelte e qualità della democrazia.
Il primo cade il 15 marzo, con il Global Strike for Future – sciopero globale di giovani e studenti per il clima, nato dalla mobilitazione dell’adolescente svedese Greta Thunberg, che vedrà anche da noi una miriade di azioni di sensibilizzazione sul tema. La settimana successiva, il 23 marzo, sarà la volta della Marcia nazionale per il clima, contro le grandi opere inutili, organizzata da centinaia di realtà e movimenti di tutto il Paese, che scenderà in piazza a Roma con una piattaforma che parla di giustizia ambientale e climatica. Il segnale da lanciare è semplice: non è possibile rimandare oltre, in gioco ci sono i diritti di questa e delle future generazioni.

Tra i tanti e partecipati momenti di avvicinamento, domenica scorsa a Napoli l’assemblea nazionale dei comitati contro il biocidio e per la giustizia ambientale. Nella gremita Sala dei Baroni del Maschio Angioino, centinaia di realtà da tutto il sud e da decine di altri territori hanno ribadito che per salvare il clima non c’è altro modo che costruire un modello sociale, energetico ed industriale alternativo all’economia predatoria e che occorre saldare alleanze e costruire strumenti efficaci a lungo termine, perché se l’etichetta con cui si raccontano i conflitti ambientali è ancora quella del Nimby, in verità «il nostro giardino è l’intero pianeta».

Stessa consapevolezza muoverà a Roma, da venerdì a domenica, i fili dell’«Atlante Fest- Mappe, saperi e strumenti per le ecologie di domani», tre giorni di incontri e attività su conflitti ambientali, cambiamenti climatici, tutela della salute e alternative di sviluppo organizzata da A Sud e Cdca e pensata come spazio aperto per il confronto tra comitati, associazioni, scienziati, attivisti e cittadini. È una delle iniziative che si terranno nelle prossime settimane per far germogliare una più diffusa coscienza sulle emergenza ambientali e il loro portato, contribuendo alla costruzione di un appuntamento, quello del 23 marzo, che intende aprire una fase nuova nella lotta campale tra interessi economici particolari e diritti universali all’ambiente, alla salute, alla partecipazione.