Si mimetizzano, riescono a infiltrarsi sempre più nelle città ma sopratutto in alcuni casi sono guidate da boss sempre più giovani e violenti, tanto da far pensare agli investigatori di trovarsi davanti a un ricambio generazionale ai vertici di almeno una delle storiche organizzazioni criminali. Altro che «mafia, ’ndrangheta e camorra saranno cancellate tra qualche mese o anno», come ha avuto il coraggio di annunciare il 18 dicembre scorso il ministro degli Interni Matteo Salvini. Le mafie italiane sono sempre più radicate nel meridione ma non disdegnano, come si sa ormai da anni, di esportare i loro metodi criminali anche nel nord del Paese e in particolare – e questa sarebbe la novità – nel Veneto, attratte dalla ricchezza diffusa della regione.

E’ a dir poco allarmante la radiografia della criminalità organizzata che risulta dalla relazione semestrale al parlamento della Direzione investigativa antimafia, che rispetto agli anni precedenti accende un riflettore soprattutto sull’età sempre più bassa dei nuovi capi, baby-boss adolescenti «che si sono posti a capo di gruppi emergenti tentando di assumere il controllo del territorio». Un cambiamento generazionale che si avverte soprattutto a Napoli dove, spiegano gli investigatori della Dia, si è assistito alla «scomparsa dei capi carismatici» e oggi si registrano molti gruppi autonomi «più simili a bande gangsteristiche» che compiono azioni più simili a quelle messe in atto dalla mafia siciliana che dalla camorra. A partire da un uso «spregiudicato» della violenza, utile a creare un clima di perenne paura attraverso le cosiddette stese, colpi di pistola sparati contro abitazioni, auto e negozi al solo scopo intimidatorio.

Per la Dia le aree più a rischio sono i quartieri di Forcella, Quartieri Spagnoli, Mercato, Vasto, Case Nuove, San Giovanni a Teduccio e Ponticelli. «In queste zone ad elevato tasso di disgregazione del tessuto sociale – si legge nella relazione – i punti di forza dei clan emergenti risiedono nella capacità di reclutamento di nuovi affiliati grazie all’interazione con la criminalità diffusa e nella disponibilità di armi e munizioni». E ancora: «Le caratteristiche sociali, culturali ed economiche dei quartiere degradati o periferici di Napoli agevolano l’arruolamento di giovani leve, molte delle quali minorenni, attingendo al vivaio delle bande della microcriminalità». Nella provincia napoletana e nel casertano permangono invece le «storiche consorterie camorristiche, ben insediate nel tessuto sociale radicate nel territorio».

Preoccupa anche la situazione della capitale. Per la Dia Roma è ormai un crocevia internazionale di affari, ma è diventata anche un «punto di incontro privilegiato tra le organizzazioni criminali italiane e straniere». Alle bande locali si sono aggiunte quelle che gli investigatori definiscono come delle emanazioni di mafia, camorra, e ’ndrangheta «in grado di gestire affari che spaziano dal traffico di stupefacenti alle estorsioni, all’usura, al riciclaggio».

Quella romana è a criminalità composta dal colletti bianchi, che hanno sostituito le azioni violente e militari con la ricerca di relazioni utili a infiltrare il territorio. Il oro radicamento, spiega ancora la relazione della Dia, «è stato altresì facilitato dall’inserimento di propri referenti nei circuiti economici legali anche attraverso al costituzione d società collegate e gestite da esperti professionisti , attive nei settori degli appalti pubblici e dell’acquisizione indebita di finanziamenti statali».