A Mogadiscio, Somalia, negli anni ottanta presso l’hotel Al-Uruba, accadevano delle cose estremamente interessanti. Mentre una folla variopinta costituita dalla classe benestante cittadina, italiani fuoriporta e genti da ogni dove animava i lussuosi locali della struttura che affacciava sull’oceano Indiano, a tenere in piedi il ritmo della festa era una straordinaria formazione locale. La Iftin Band era ben abituata a dar soddisfazioni a palati di provenienze geografiche diverse, il che significava essere pronti a garantire un ritmo funk a metà tra il Santana di Woodstock e James Brown (Aaway Axdigii Aynu Isku Ogeyn). Un groove  degno della miglior haqiba music egiziana (War Wayneey), oltre a concentrici ritmi in levare (Ruuney). Si faccia attenzione, non siamo davanti ad una cover band, ma ad una formazione di professionisti dotati di gran talento e di una scrittura autografa eccellente. Mentre i tradizionali ritmi Banaadiri, originari della Somalia del sud si innervano con i colori dell’afrobeat, prendeva corpo la leggenda di una delle migliori formazioni somale di sempre. Una compilazione figlia di sessioni di registrazioni differenti, ma unite da un carattere sorprendente.