Le pareti bianche e spartane della Format – Contemporary Culture Gallery di Milano ospitano fino al 31 gennaio il primo solo-show del collettivo Kalzenere (Riccardo Bizziccari, Valerio de Berardinis, Marcello Garofalo, Alessandro Sansoni, provenienti da mondi diversissimi come il cinema, la grafica, la pubblicità e la fotografia): KZNR-The Exhibit, 22 opere – installazioni, video e fotografie – che compongono una mostra poli-oggettuale a cura di Guido Cabib il cui tema è il cambio di direzione da/del gusto contemporaneo, con l’auspicio di interrogare il visitatore su di un qualcosa ancora slegato dai dogmi e dalle convenzioni moderne.

L’arte contemporanea, ma anche il design e l’architettura, sono oramai in procinto di cancellare una volta per tutte quella patina negativa che ricopre la parola «kitsch», basti pensare alla splendida mostra-riflessione sull’argomento ideata da Gillo Dorfles nel 2012 in Triennale. Le deviazioni dal buon gusto sono ormai molteplici e vantano infiniti percorsi alternativi che contemplano – tra i tanti – l’orrido, il giocoso, l’assemblaggio sfrenato e schizoide che accetta ogni sfumatura diseredata.

KZNR-The Exhibit, interrogandosi su questo e sul ruolo moderno della rappresentazione, è un’orgia addomesticata di immagini che rispecchiano il buco nero contemporaneo della rete, come ci spiega Marcello Garofalo, regista e critico cinematografico membro del collettivo, «Social network per eccellenza, Facebook è un ricettacolo di immagini schizo-nomadi che si propagano e si moltiplicano all’infinito, acquistando una nuova e libera identità solo per il fatto di «essere« dentro il social, annullandosi rapide l’una dentro l’altra per dare spazio continuamente ad altre figure, i cui comuni denominatori, almeno per l’esperienza Kalzenere, sono il Sesso e la Morte». La Mostra declina una parte di dette figure in forma di «remake» e/o di «re-interpretazione», sia attraverso immagini fotografiche realizzate dal collettivo, sia attraverso installazioni, ad opera dello stesso. Nei monitor si susseguono così, ogni sei secondi, le immagini più disparate: fotogrammi di film (non immediatamente riconoscibili) che spaziano dai primi piani di Ozu al porno di Turiste affamate fino al cartello Intermission di C’era una volta in America, fumetti erotici come Braccio di ferro in versione hard, sex toys bizzarri come un simpatico «armadildo», vecchie pubblicità oramai comiche di biancheria intima per uomo e donna.

Tale esercito di immagini è stato catalogato sul sito internet e sulla pagina Facebook del collettivo in anni di ricerca attraverso tutto quello che ai nostri è apparso sui social network e nel web ed è sembrato conforme a una linea identificata col «gusto Kalzenere», una linea che offre una fusione (mai necessaria e/o grottesca) tra disgusto e fascino, che possa inebriare ed avvilire insieme «Costringere l’immagine a significare segni che, propriamente parlando, non hanno senso. Ogni rappresentazione svanisce, è assente. Coprire l’oggetto di apparenze, di illusionistici veli, di trappole, di parodie seduttive più o meno sexy, di simulazioni sacrificali, non per dissimulare, né per rivelare chissà che cosa e neanche semplicemente giocare o per puro piacere, bensì per asserire che niente più esiste naturalmente» aggiunge Marcello Garofalo. Cornici dell’ipertrofico montaggio d’immagini una serie di fotografie e di affissioni murali, realizzate appositamente dai Kalzenere, che omaggiano Andy Warhol, assemblano Pellizza da Volpedo e la musica Novecento di Bernardo Bertolucci, rievocano i seni immensi dei film di Russ Meyer e le deiezioni canine di John Waters.

Spazio anche a pezzi unici che sbeffeggiano l’ormai onnipresente «junk food», con la carne di unicorno in scatola, vertice massimo dell’esasperazione alimentare, e una cherry pie dall’invitante scritta «fuck you», che lancia già l’allarme della rampante e sinistra tendenza del cosiddetto «cake design». L’orgiastico itinerario visivo non si conclude qui ma si aggiorna, quasi quotidianamente, sul sito e sulla pagina Facebook, frullando senza tregua abominevoli piaceri senza mai dimenticare la minaccia del piccione immagine-manifesto della mostra «I will shit on everything you love».