Il 24 giugno scorso è accaduto a Messina qualcosa che, appena pochi mesi prima, sarebbe parso impossibile. È accaduto che una lista civica, davvero costruita «dal basso», integrando cioè biografie e percorsi diversi, tutti caratterizzati dall’aver in vario modo resistito allo scempio politico e amministrativo che della città si era fatto negli ultimi anni, sia riuscita a portare il proprio candidato, Renato Accorinti, fino all’incarico di sindaco. (…)
L’espressione «bene comune», vero cuore del movimento che ha portato Renato a diventare sindaco, non è, e non può essere, intesa a Messina come una formula astratta e quieta della politica. Al contrario, al centro del progetto di «Cambiamo Messina dal basso» c’è una ridefinizione radicale del contenuto della parola «politica». Perché è proprio da qui, dalla necessità di non avere più paura della «politica» che noi messinesi siamo ripartiti e che la stessa amministrazione Accorinti intende sviluppare il suo protagonismo attraverso la partecipazione degli abitanti del nostro orizzonte civico e la promozione di formule istituzionali anche innovatrici che promuovano sempre più, anche secondo le potenzialità espresse dallo Statuto dell’autonomia siciliana, il suo autogoverno. (…)
Ciò che a Messina tenteremo di fare è di riscrivere le istituzioni partecipative e le loro «regole»: a questa riscrittura intendiamo inoltre affiancare una ulteriore legittimazione ed estensione degli usi civici a spazi e beni sottratti alla collettività, al fine di dare loro appunto degli usi «in comune». È anche in questo modo che daremo nuove forme di rappresentanza al conflitto, anche silente, presente nella nostra comunità e alla distanza rispetto la partecipazione, facendo sì che possa prendere parola, finalmente, chi finora non ha neanche pensato di poterne avere il diritto. (…)
Si tratta oggi di costruire nuove forme politiche in comune, dal basso. Di stare lì dove il conflitto, anche quello senza parola delle classi popolari meridionali ricattate, sino ad oggi, dallo scambio tra diritto e favore, chiede di esprimersi in nuove istituzioni. Cambiare le istituzioni dal basso, produrne di nuove, raccoglie per noi, e rende operativa, l’idea di una «democrazia insorgente», che non solo si ribella, ma costruisce cantieri comuni, ponti: una «repubblica» che sorge dal basso e ridà voce, respiro, spazi e speranza a chi non ne ha più. Tutto questo ci dice che dobbiamo ripartire dalle città, dalla messa in comune dei luoghi, delle intelligenze, dei disagi e delle insorgenze, così come dalle solidarietà, dai legami tessuti nel silenzio che non diventano politica, dal volontarismo personale da vivere come partecipazione e non più solo come scelta individuale. (…)
Tutto questo non ci farà d’altra parte ancorare a un localismo identitario e comunitario. Le città sono di chi le abita e di chi le traversa, anche solo per un tratto della sua esistenza: sono le loro radici plurali, da sempre la vera ricchezza delle nostre città, e proprio per questo pensiamo che è innanzitutto in esse, in questa visione ampia e costitutivamente aperta delle «democrazie cittadine», che si gioca oggi la grande partita di nuove forme d’uso delle istituzioni. Delle vere e proprie «forme di vita in comune».(…)
Le ferite sociali e il conflitto, anche silenzioso, non possono essere «delegati», anche fosse ad un Assessorato all’autogestione dei beni comuni, cui pure abbiamo deciso di dare vita: essi ci impongono oggi piuttosto una vera e propria «Costituente dei municipi», l’invenzione e la sperimentazione di forme di istituzioni. Sono pertanto queste istituzioni «in comune» che vorremmo pensare nuovamente e riscrivere insieme a chi ha perfettamente chiara la sfida che ci aspetta, sfida ancora più difficile e terribile quando si incrocia con l’Amministrazione, così come sta accadendo a Messina: è un cammino che comporterà la riscrittura dello Statuto e dei Regolamenti comunali, la definizione di regole per l’autogestione dei luoghi e l’autogoverno delle forme di vita partecipata, la riflessione su nuove regole della partecipazione diretta, il riconoscimento delle forme di vita in comune che si danno nel territorio e nei luoghi e il ripensamento, anche digitale, delle istituzioni di incidenza partecipata alle scelte delle Amministrazioni.(…)