Da sempre, in Sicilia, Messina è stata considerata la città «babba», un territorio che non era in grado di esprimere una malavita di adeguata credibilità criminale, a cui mancava la caratura adeguata agli standard di Cosa Nostra. Una pallottola in faccia ciascuno al giornalista Beppe Alfano, all’avvocato Nino D’Uva, al gastroenterologo Matteo Bottari ed alla diciassettenne Graziella Campagna, e l’ormai conclamata latitanza dorata di Nitto Santapaola a Barcellona Pozzo di Gotto, da anni raccontano un’altra storia.

Se a Messina, dunque, la mafia c’è, è da Messina che in trentamila, il primo giorno di primavera, hanno ribadito quanto efficacemente sintetizzato da Peppino Impastato trent’anni fa: la mafia è una montagna di merda. Libera, la rete nazionale di associazioni antimafia, ha infatti scelto la città dello Stretto per ospitare la giornata nazionale della memoria e dell’impegno 2016, la ventunesima organizzata dall’associazione per ricordare le vittime della mafia.

Così, su strade sgomberate da vigili spietati nel far rispettare il divieto di sosta lungo tutto il percorso, da molto prima dell’inizio del corteo, partito alle nove di mattina ed aperto dai familiari delle vittime, in riva allo Stretto hanno iniziato a mettersi in fila indiana i pullman. Studenti, scout e scolaresche provenienti da tutta la Sicilia e Calabria hanno affollato e colorato le strade cittadine per la marcia che si è conclusa in piazza Duomo, con il cartello «si al vangelo, no alla mafia» a svettare sulla Cattedrale.

In piazza, secondo tradizione, la lettura, uno per uno, delle quasi mille vittime che la mafia ha disseminato per decenni. Mille vittime, praticamente quelle di una guerra a media intensità, per chi volesse dare un valore ai numeri e grazie a questi farsi un’idea dei fenomeni. Una guerra che lo stato italiano per anni si è rifiutato di combattere e che ha lasciato all’eroismo dei singoli, dei Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, dei Boris Giuliano e Cesare Terranova, dei Pio La Torre e dei Mario Francese, dei Beppe Montana e dei Ninni Cassarà.

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Una lista lunga mezz’ora al termine della quale Luigi Ciotti, il prete che di Libera è stato fondatore ormai ventuno anni fa, ha sottolineato come chi è morto combattendo Cosa nostra, ‘ndrangheta e Camorra lo abbia fatto in nome della libertà, del bene comune, della democrazia. E chi invece non combatteva? Chi è stato ucciso per errore, per uno scambio di persona, chi è stato ucciso perché aveva trovato un’agendina che conteneva numeri «scottanti», perché nato nella famiglia sbagliata? «La mafia è la vigliaccheria di chi spara e si nasconde, di chi usurpa risorse, lavoro e futuro ad interi territori, intere comunità. Non è libero chi è costretto al lavoro nero, chi vive nella paura, nella povertà, nella mancanza di sicurezza», ha spiegato don Ciotti.

Ma il fondatore di Libera, davanti a una piazza gremita e collegata con altre piazze italiane, parla a tutto campo: rivolge un pensiero commosso alle famiglie delle studentesse italiane morte nell’incidente in Spagna, lancia un duro atto d’accusa all’Unione Europea per il «vergognoso accordo» con la Turchia sui respingimenti di migranti, e invita tutti gli italiani ad andare a votare al referendum contro le trivelle per salvaguardare l’ambiente.

Nel frattempo, in piazza Duomo si sono arrivati Rosi Bindi, presidente della commissione parlamentare antimafia, e Rosario Crocetta, governatore della regione Siciliana fresco di annuncio di ricandidatura alla presidenza. «Non capisco le divisioni nel mondo dell’antimafia, perché l’obiettivo è unico», ha spiegato Crocetta».

E lo Stato? «La mafia oggi uccide meno, ma fa più affari – ha spiegato Rosi Bindi – serve l’unità di istituzioni e forze politiche per combatterla. Abbiamo un debito nei confronti dei familiari delle vittime». «E’ un’opportunità per le generazioni future, nonostante tutte le difficoltà che abbiamo incontrato nell’organizzazione», ha spiegato quindi Renato Accorinti, sindaco di Messina.

E mentre a Messina l’antimafia sfilava e riaffermava la sua lotta, ad un centinaio di chilometri in linea d’aria, il nucleo di polizia tributaria di Catanzaro della Guardia di Finanza effettuava un maxisequestro da oltre mezzo miliardo di euro di beni e società riconducibili ad affiliati alla cosca di ‘Ndrangheta di Iannazzo di Lamezia.

Nel pomeriggio, come da consuetudine, Libera ha organizzato i forum tematici, dai quali i segnali emersi non sono esattamente confortanti. «La corruzione sta vincendo: E’ necessario riappropiarsi degli spazi per ricostruire l’alternativa», ha spiegato Leonardo Ferrante, responsabile dei settori legale ed anticorruzione civica di Libera. Nel forum dedicato al «ruolo dei cittadini nella promozione dell’integrità: esperienze di monitoraggio civico», Ferrante ha presentato la partnership che Libera ha intrapreso con l’associazione messinese Parliament Watch Italia per sviluppo e implementazione di politiche di open government, trasparenza, open data e monitoraggio civico.