Da Nichelino a Novara la tappa risale la risaia (in caso di caduta ci sarebbe da vedere due o tre corridori rifinirci dentro a capofitto), i papaveri rossi colorano i bordi della strada e i filari di pioppi ci vengono incontro da destra e da sinistra, spargendo per l’aria un po’ di neve.

Va via appena dopo la partenza la prima fuga dell’anno (Tagliani, Albanese, Marengo), inghiottita all’altezza di Vercelli dal gruppo che si prepara all’inevitabile sprint. Volata facile su uno stradone dritto della  periferia, e per questo ancor più affollata di pretendenti.

I più forti ed abili sul drittone finale sono gli uomini di Gaviria, ma il loro capo in vista di una semicurva non ha gambe per seguirli. A quel punto il gruppo delle ruote veloci si sfalda, ed il belga Merlier ha lo spunto giusto per mettersi alle spalle Nizzolo e trionfare a braccia alzate sul traguardo. Solo un’altra volta si era arrivati a Novara, nel ’68, sempre belga il trionfatore: tale Merckx, che indossò in quell’occasione la prima maglia rosa della sua carriera.

Un’altra battaglia si scatenò a Novara, cent’anni fa o giù di lì. Era il luglio del ’22, lo squadrismo fascista imperversava e prendeva a bersaglio tutto il mondo operaio, contadino e socialista. Si dice battaglia di Novara, ma in realtà il far west si scatenò lungo una main street fuori dal mondo. Il giorno 9 sette ciclisti comunisti isolarono e uccisero uno degli agrari locali. Nei giorni successivi su tutta la provincia si abbatté la reazione squadrista, con spedizioni punitive, pestaggi e distruzioni di case del popolo. Il 12 la risposta fu l’insurrezione contadina e la proclamazione dello sciopero.

Se prima si è parlato di far west e di main street non lo si è fatto a caso, perché la battaglia vera e propria scoppiò nella frazione di Lumellogno, case povere lungo una strada acciottolata a margine della via che da Vercelli conduce a Novara. Una Tombstone umida in mezzo alle risaie. Un gruppetto di fascisti, anche loro in bicicletta, passò di lì irridendo i contadini. Rincorse coi forconi, le camicie nere, come da buona tradizione, scapparono a gambe levate a chiamare rinforzi.

Arrivarono con le pistole, con i socialisti armati dei soli attrezzi da lavoro a fare da bersaglio. Una strage: persero la vita un fascista e i braccianti Giovanni Merlotti, Angelo de Giorgi, Pietro Castelli, Gaudenzio Mazzetta, Giuseppe Galli e Carlo Giordani.

Dieci anni più tardi, in una mostra allestita per l’anniversario della marcia su Roma, Lumellogno fu definita “Paese non italiano”. Fuori dal mondo, almeno dal mondo di Mussolini e degli agrari.