A maggio il mercato del lavoro rallenta. La crescita rispetto ad aprile di 21 mila occupati (+0,1%) è compensata dai 24 mila disoccupati in più e dai 27 mila inattivi. Secondo i dati provvisori forniti ieri dall’Istat la crescita dell’occupazione è data dalla componente femminile e riguarda soprattutto i dipendenti con un contratto a termine (+37 mila), mentre il lavoro «fisso» cresce di 11 mila unità.

Sempre male il lavoro indipendente (autonomi e assimilati) che cala ancora: meno 28 mila, probabilmente un effetto della riforma Fornero e del Jobs Act, impegnati nella lotta contro le «false partite Iva». Su base trimestrale e annuale il saldo resta positivo, soprattutto sugli occupati e inattivi. Sul trimestre marzo-maggio gli occupati crescono di 101 mila unità; sull’anno di 299 mila. Al momento, secondo l’Istat la crescita tendenziale è attribuibile ai dipendenti «permanenti» (pari a 248 mila) e a quelli a termine (+81 mila).

Non viene precisato se i dipendenti in aumento siano stati assunti con il «contratto a tutele crescenti» del Jobs Act. Il dato è significativo perché l’aumento avviene nel momento in cui gli sgravi contributivi statali alle imprese sono meno vantaggiosi rispetto al 2015, tagliati del 40% da 8.060 a 3.250 euro. Resta da capire l’aumento – più del triplo – dei contratti a termine tra aprile e maggio rispetto al lavoro dipendente «permanente»: se è una variazione congiunturale o una ripresa del contratto riformato dallo stesso governo Renzi e concorrente del «contratto a tutele crescenti» in cui a crescere è solo la libertà del datore di lavoro di licenziare il lavoratore. Fatto sta che, sull’anno, calano i disoccupati (meno 175 mila) e gli inattivi (meno 305 mila. Il tasso di disoccupazione a maggio diminuisce di poco rispetto ad aprile (-0,1, 11,5 per cento) ed è sostanzialmente stabile.

In generale, maggio registra un aumento fiacco. La crescita esiste, ma rallenta sempre di più. Soprattutto non riguarda l’industria, ma i servizi e il commercio che ragionano anche sulla stagione e iniziano ad assumere per l’estate. Quanto alle imprese continuano a incamerare i lavoratori in cassa integrazione o part-time e, visto l’andamento mensile, non si parla di nuova occupazione. Lo attesta la stabilità della disoccupazione degli under 25: 36,9 per cento, invariato da aprile, ma sull’anno è calata del 4,3%. Una nuova prova del fallimento della «Garanzia Giovani».

Si conferma inoltre la crisi dei lavoratori tra i 35 e i 49 anni: meno 21mila occupati, +23mila inattivi, probabilmente ex disoccupati che cercano lavoro. Diminuiscono gli over 50 (+6mila occupati) ma su base annua è confermato un dato: la riforma Fornero che ha aumentato l’età pensionabile provoca un boom di occupati da 271mila in più. «Un mercato del lavoro con il passo del gambero – sostiene il segretario confederale Uil, Guglielmo Loy – I contratti a tempo indeterminato pur in presenza di ingenti risorse pubbliche destinate anche per il 2016 allo sgravio contributivo, diminuiscono in maniera vistosa – come dimostrano i dati delle comunicazioni obbligatorie – e segnalano una crescita dimezzata rispetto ai contratti a termine, nei quali, molto presumibilmente, è ricompreso il folto mondo dei prestatori di lavoro con voucher».

«Da febbraio 2014 a oggi in Italia gli occupati sono cresciuti di 497mila unità – ha scritto su facebook il presidente del Consiglio Matteo Renzi – L’80% di questi sono contratti a tempo indeterminato. Gli effetti del Jobs Act hanno portato in due anni ad avere mezzo milione di posti di lavoro in più. Personalmente credo che si possa e si debba fare sempre di più. Ma questa riforma è un bene per l’Italia. I numeri parlano chiaro e sono più forti di qualsiasi polemica». Renzi somma il totale degli occupati di due anni attribuendoli al «contratto a tutele crescenti» del Jobs Act entrato in vigore dal 7 marzo 2015, cioè tredici mesi dopo. A febbraio 2014, invece, è entrato in carica lui e il Jobs Act non c’era ancora.

Nello story-telling renziano è da tempo avvenuta l’identificazione assoluta tra la persona del premier e gli occupati, senza naturalmente considerare quelli che hanno perso il lavoro da allora. Quando si tratta di «successi», non si fanno differenze. Inoltre, il «mezzo milione» di posti di lavoro sono in realtà poco più della metà (299 mila e poco più), di cui 248 sono dipendenti stabili, e non tutti sono assunti con il nuovo contratto. Senza contare che molti di questi lavoratori avevano già un contratto prima, o erano in Cig.

«A chi diceva che finiti gli incentivi ci sarebbe stata la caduta dico, non è avvenuto niente di tutto ciò – sostiene il ministro del lavoro, Giuliano Poletti che esclude che i dati siano gonfiati dai voucher. «Ho molti dubbi che si possa dire che un utilizzatore di un voucher possa essere qualificato come lavoratore dipendente stabile». Infatti tornano a crescere i contratti a termine in estate quando i voucher nel turismo e nel commercio si moltiplicano.