Un grande successo della Semaine de la critique del 2015, con l’horror It Follows, David Robert Mitchell torna a Cannes, questa volta in concorso. Il film è Under The Silver Lake, un omaggio del quarantaquattrenne regista americano alla fertile vena del Los Angeles Noir. Quella di Chinatown, Kiss Me Deadly (Un bacio e una pistola), Mullholand Drive e dell’altmaniano Il lungo addio.

Dipinta nei colori sgargianti della fotografia di Michael Gioulakis, accarezzata dai movimenti di macchina pesanti di suspense con cui è identificato lo stile del regista (carpenteriano, secondo alcuni), LA secondo Robert Mitchell è una città di scommesse perdute, promesse sprecate, vite inghiottite nel nulla, superfici insidiosamente smaglianti, sorrisi falsi e di misteriosi corridoi che corrono sotto terra e sfociano in atri tipo piramide.

Andrew Garfield (visibilmente confuso, forse è parte del personaggio) è Sam, uno slacker solitario che sta per essere sfrattato dal suo appartamentino nel quartiere di Silver Lake, dove trascorre gran parte del tempo masturbandosi e guardando con il cannocchiale una vicina in topless e agé mentre gioca con il cagnolino e un pappagallo parlante. Durante uno dei suoi momenti da La finestra sul cortile, Sam nota una nuova arrivata nel complesso – giovane, bionda, con un grosso cappello e un cagnolino bianco anche lei (è Riley Keough). Con la scusa di fare un paio di coccole all’animale, Sam si fa invitare a casa di Sarah. Le cose sembrano andare per il meglio quando irrompe un gruppetto di amici di lei e la vicina lo mette cortesemente fuori dalla porta. Ci vediamo domani, gli dice.

Peccato che il mattino dopo sia scomparsa, insieme a tutti i contenuti dell’appartamento. Sam si mette a cercarla, ma pare così poco convinto e non concentrato sull’obiettivo che ben presto perdiamo d’interesse anche noi. Keough, che nella bella serie di Steven Soderbergh The Girlfriend Experience aveva saputo proiettare un’aura di mistero ipnotico, qui è facile da dimenticare, una bionda riciclabile.

Rimaniamo quindi ossessivamente in compagnia del primo piano di Garfiled, che sembra sempre sballato anche se fuma solo sigarette. Con lui frequentiamo festini di gente bella e annoiata, giriamo qua e là per LA, prima in macchina e poi a piedi. Ma non basta intravedere di sfuggita un signore vestito da pirata, o Zosia Mamet con minishorts e la faccia cattiva per indurre un senso di minaccia. O anche solo la minima curiosità.

Quando, alla fine, ci è svelato cosa sta (letteralmente) sotto l’intrigo, non se ne può più. Nel 2006, Richard Kelly – dopo il successo critico di Donnie Darko – aveva portato in concorso qui a Cannes la sua versione del noir losangelino, Southland Tales, uno sfrangiatissimo incrocio di thriller e sci-fi; e un film letteralmente ossessionato dal capolavoro di Aldrich Kiss Me Deadly. Massacrato dall’establishment critico della Croisette, Southland Tales aveva ambizioni, sogni e una sontuosa grandeur malinconica che Under the Silver Lake non tenta neanche. È un film inutilmente pieno di sé.