In un articolo del 1922 sul New York Times si racconta che furono almeno novantamila le persone accorse nelle sale della National Gallery di Londra a rendere omaggio e ad ammirare per un’ultima volta il Blue Boy, il capolavoro forse più famoso di Thomas Gainsborough, prima che attraversasse l’Atlantico per sempre. Fu un evento tanto emozionante quanto traumatico, al punto che l’allora direttore del museo londinese, Sir Charles J. Holmes, non riuscì a trattenersi dallo scrivere sul retro del dipinto una semplice ma evocativa frase a matita, di rimpianto e di augurio: «Au revoir».

Sembrava un addio senza speranza, ma le cose per fortuna sono andate diversamente e, dopo esattamente un secolo da quello che era stato l’acquisto più costoso della storia dell’arte fino ad allora, il Blue Boy è nuovamente in mostra a Londra, nelle sale della National Gallery, esattamente nella stanza n. 46, fino al 15 maggio, con catalogo a cura di Christine Riding, Susanna Avery-Quash, Melinda McCurdy, Jaqueline Riding e Imogen Tedbury.

A fare da contorno al Blue Boy nella piccola mostra londinese ci sono anche due dipinti di Antoon Van Dyck, per sottolineare il noto debito di ispirazione che Gainsborough ebbe nei confronti dell’opera del grandissimo ritrattista fiammingo morto proprio a Londra nel 1641, e due dello stesso Gainsborough. Di Van Dyck sono in mostra il ritratto di George Villiers, secondo Duca di Buckingham insieme a Lord Francis Villiers, proveniente dalle collezioni della Famiglia Reale inglese, e lo straordinario doppio ritratto di Lord John Stuart e suo fratello Bernard, appartenente alla stessa National Gallery. Di Gainsborough invece, oltre al ritratto di Elizabeth e Mary Linley proveniente dalla non lontana Dulwich Portrait Gallery, è incantevole e tutto sommato meno noto quello di Mary Siddons anch’esso appartenente al museo nazionale londinese.

Il Blue Boy, che era creduto fino a qualche tempo fa il ritratto di tale Jonathan Buttall, giovane figlio di un ricco commerciante che fu inizialmente proprietario del dipinto fino al 1796, grazie agli studi di Susan Sloman potrebbe essere invece identificato con il nipote del pittore stesso. Fu acquistato nell’inverno del 1921 da Henry E. Huntington e dalla moglie Arabella dalla collezione del duca di Westminster (ospitata a Londra a Grosvenor House), che a sua volta lo aveva comprato dal pittore inglese John Hoppner.

Henry H. Huntington era uno dei più famosi industriali e magnati americani della gilded age, al quale si deve la costruzione delle ferrovie in California e in un certo senso la vera e propria nascita e lo sviluppo di quello stato negli anni in cui era ancora soltanto meta della corsa all’oro. Figura quasi leggendaria dell’industria americana, è stato anche uno dei più grandi collezionisti mondiali di opere d’arte, e furono epiche le sue dispute con un altro grandissimo magnate d’oltreoceano, il banchiere John Pierpont Morgan, per l’acquisto di manoscritti e libri rari di cui entrambi erano follemente appassionati. La loro rivalità senza tregua portò negli Stati Uniti alcuni dei più importanti pezzi sul mercato librario, depredando le collezioni europee ma contribuendo a creare quelli che vengono a ragione considerati due veri templi della cultura americana sulle due rispettive sponde degli oceani: la Pierpont Morgan Library a New York e la Huntington Library a San Marino, Pasadena.

Thomas Gainsborough, “Blue Boy”, 1770, Huntington Library, pinacoteca

A poco più di un’ora di macchina da Los Angeles, immersa nel sole californiano, la Huntington Library, Art Museum and Botanical Gardens è uno dei luoghi più straordinari del mondo: intorno all’edificio centrale, sede della collezione d’arte e della biblioteca, oltre cinquanta ettari di roseti, giardini cinesi, giapponesi, inglesi, italiani, paesaggi tropicali, sub tropicali e desertici, con piante provenienti da ogni luogo della terra, l’hanno trasformata in una specie di eden e, insieme al Getty Center e al poco distante Norton Simon Museum, è uno degli avamposti della cultura internazionale sulla costa ovest degli Stati Uniti.

Verso la fine dell’Ottocento Henry H. Huntington iniziò ad appassionarsi quasi senza ragione alla pittura inglese del secolo precedente e molto contribuì alla formazione del suo gusto la presenza della moglie Arabella. Personaggio interessantissimo degli anni a cavallo fra i due secoli, Arabella Duval Yarrington fu una delle più affascinanti e meno celebrate eroine della scena americana di quegli anni. Nata in Alabama nel 1853, sposò in seconde nozze Collis E. Huntington e, successivamente alla sua morte, ne sposò il nipote ed erede Henry. Come in un romanzo di Edith Wharton i suoi inizi nella riluttante alta società americana furono difficili e fortemente osteggiati da chi, nonostante l’immensa fortuna degli Huntington, ancora non la conosceva bene e non voleva attribuirle ciò che lei in realtà ricercava sopra ogni cosa: il riconoscimento sociale. Ambiziosa e intelligente com’era, ebbe però la fortuna di trovare sulla sua strada quel Joseph Duveen, giustamente considerato il re dei mercanti d’arte che, con lungimiranza, la riceveva con deferenza ogni qualvolta lei lo consultasse, guidandola come soltanto lui sapeva fare nell’incantato mondo dell’arte e del gusto. È proprio Duveen il vero protagonista delle vicende legate al Blue Boy: fu lui a curarne la vendita e a trasformarla in un evento epocale.
Si racconta che il primo incontro fra gli Huntington e il celebre dipinto avvenne a bordo dell’Aquitania, un transatlantico che viaggiava da New York all’Europa, ma quella volta il giovane ragazzo blu con l’aria assorta e la posa spavalda in realtà non era altro che una semplice riproduzione appesa alla parete. In quell’estate del 1921, sulla nave che attraversava l’Oceano, nella suite degli Huntington, guarda caso, si trovava però ovviamente anche Duveen, al quale non parve vero intercettare l’entusiasmo della ricca coppia e, ben sapendo che il duca di Westminster era per così dire a corto di liquidità, organizzò velocemente l’affare che, in una sorta di imprevisto «due al prezzo di uno», vide convolto anche un altro capolavoro della pittura inglese del Settecento: Sarah Siddons in veste di Musa Tragica di Joshua Reynolds, che attualmente fa bella mostra di sé accanto al Blue Boy nella galleria dei ritratti inglesi della Huntington.

Duveen regalò al Blue Boy un approfondito restauro che lo fece brillare dei suoi colori originali, e fu proprio lui a volere che venisse esposto alla National Gallery di Londra prima della partenza per la California, chiedendo espressamente, ma forse è solo una leggenda, che l’ultima persona a vederlo fosse sua madre. Il dipinto fu imballato in ben tre casse, una impermeabile, una di acciaio e una legata con un nastro di ferro, e quando arrivò a New York venne accolto con tutti gli onori del caso, ma Duveen, accampando vari pretesti, lo negò al Metropolitan Museum, preferendo i saloni della sua personale galleria sulla Quinta Avenue prima dell’ulteriore tratto di viaggio verso la West Coast.

Ora il dipinto è tornato a Londra, in quelle sale che lo avevano visto per l’ultima volta sul suolo inglese, e lo ha fatto dopo alcuni anni di un’accurata campagna di restauro e studi – il Blue Boy Project – che la Huntington ha dedicato al suo più importante capolavoro: ma chissà se anche questa volta, alla fine della mostra e al momento della ripartenza, qualcuno gli dedicherà una canzone.