Martina Parenti e Massimo D’Anolfi ci hanno regalato negli ultimi anni dei documentari sempre di altissimo livello a partire dall’esilarante I promessi sposi (2007) passando per Grandi speranze (2009), il premiatissimo Il castello (2011), il dirompente Materia oscura (2013). A Locarno sono arrivati con il loro ultimo lavoro L’infinita fabbrica del Duomo, che nelle intenzioni dovrebbe fare parte di un progetto multiplo, una quadrilogia sugli elementi della natura: Spira Mirabilis. Siamo quindi alla terra, perché da lì viene presa la materia prima, il marmo, per costruire il Duomo, di Milano in questo caso.

Siamo nel 1386, Gian Galeazzo Visconti ha fatto un sogno inquietante, gli è apparso il demonio in persona, per vincerlo deve fare costruire una nuova cattedrale dedicata alla Madonna. E il signore di Milano non pone indugi, concede l’uso della cava di marmo di Candoglia e l’operazione può cominciare. Da lì, via acqua, attraverso il Ticino e i canali navigabili, sarà un flusso continuo di materiali che arrivano nel centro città, in via Laghetto. E da lì, dalle cave oggi, comincia anche il film, con una narrazione visiva intrigante e poetica, senza voce fuori campo, solo di tanto in tanto delle scritte, quasi da cinema muto, che forniscono informazioni desunte dall’enorme quantità di libri e registri dove è condensata la storia, infinita appunto, di oltre 600 anni di lavori.

13visINFINITAFABBRICADUOMO

E se ne scoprono delle belle. Già è curioso che l’ispirazione per costruire il Duomo sia stata diabolica, poi veniamo a sapere che, naturalmente, ci volevano un sacco di soldi e le questue erano continue, solo che i più generosi non erano i ricchi o i nobili, bensì il popolino, gli umili, che con piccole singole donazioni faceva lievitare enormemente la cifra raccolta. E tra loro una categoria particolare di lavoratrici, le prostitute. Nel corso del tempo la Veneranda fabbrica del Duomo (che in un tomone della biblioteca appare come Ammiranda) non ha mai smesso di operare. Ancora oggi marmisti, muratori, carpentieri, fabbri, restauratori, orafi, ma anche archivisti e conservatori, proseguono un lavoro appunto infinito. Un piccolo grande esercito che non si fa notare molto, ma che opera, agisce, lavora per mantenere vitale un monumento colossale, storico, ingombrante e fascinoso. Con quella Madonnina dorata, foglie di oro zecchino, che la ricopre in tutta la sua maestosità e che domina davvero la città. E non mancano gli aneddoti, come quello per cui venne ricoperta durante la seconda guerra mondiale perché la sua luminosità sarebbe stata d’aiuto ai bombardieri. E la vulgata subito ha voluto che alla «Madonina« così in milanese, fossero stati risparmiati gli orrori della guerra perché imbrigliata non li aveva potuti vedere. Forse non vide, ma sicuramente sentì, perché nonostante le precauzioni, la zona venne pesantemente bombardata. Simbolo di Milano per eccellenza, il Duomo è anche sede della parrocchia di Santa Tecla. E lì, dietro l’arcivescovado, sulla strada per via Laghetto c’è il Santa Tecla, il locale dove si sono esibiti ai loro esordi Celentano, Gaber, Jannacci, Battisti e Tenco, milanesi di prima generazione oppure solo convenuti perché qui la cultura del fare produceva concretamente senso e arte. E sembra di parlare di sei secoli fa.

13visPANDOLFILOCARNO

E a Milano era anche arrivato nel 1953 Elio Pandolfi per partecipare da pioniere alle prime trasmissioni televisive con Sandra Mondaini, Antonella Steni, Raffaele Pisu. Lo raccontano Caterina Taricano e Claudio de Pasqualis in A qualcuno piacerà – Storia e storie di Elio Pandolfi. Una vita trascorsa a doppiare (Fellini lo adorava e gli faceva fare decine di voci a film), a recitare con i grandi (Visconti lo voleva a teatro, ma anche a casa sua per intrattenere gli ospiti), un po’ di cinema, tanta radio e tv, e una passione che non si conosceva: filmava tutto e di tutto.

E per la prima volta ha concesso i preziosi materiali dove appaiono i suoi grandi amici: Mastroianni, Manfredi, Wertmuller, Valori, Panelli. Per Elio vivere e recitare sono un tutt’uno, lui racconta come se fossero favole, interpretazioni davanti a un pubblico e lo staresti a sentire per ore con il suo gramelot personale praticato sin dall’infanzia.