Dedicato a indagare il potere nei suoi aspetti meno appariscenti ma non per questo meno invasivi l’ultimo romanzo di Michela Murgia, Chirù (Einaudi, pp.191, euro 18,50), si colloca sul crinale ambivalente del rapporto magistrale tra una donna più grande e un uomo più venti anni più giovane da lei scelto come proprio allievo. Ambientato nella contemporaneità, è narrato in prima persona con la voce di Eleonora, attrice trentottenne affermata anche a livello internazionale, il cui nome costituisce omaggio implicito alla grandezza di Eleonora Duse e insieme alla Nora di Ibsen, la cui opera teatrale è citata esplicitamente nel testo.

Attraverso il ripercorrere le tappe che l’hanno portata fin dall’età di otto anni a prendere cognizione di sé e dell’imperio anche violento esercitato sulla famiglia dalla figura del padre, Eleonora racconta di un percorso di formazione e autoformazione al divenire adulte e grandi delle donne che hanno ambizione di sé e che, per corrispondere interamente al proprio talento, si costruiscono il proprio destino e insieme ad esso le opportunità perché esso si realizzi al meglio.

TURIN, ITALY - MAY 12:  Michela Murgia attends
La scrittrice Michela Murgia

Si tratta di un percorso che si compie in solitudine e con pochi fidati amici, compagni, sodali donne e uomini che hanno spesso l’aspetto di interlocutori d’eccezione. Volta per volta diversi, altrettanto eccezionali sono gli allievi scelti e da cui si viene scelti non per svolgere un apprendimento professionale come quello del divenire a loro volta attori, quanto per far sbocciare al meglio il loro singolare, unico e particolarissimo talento.

Si riattraversano così l’incontro e le vicende dei precedenti allievi e si ricorda anche la storia di Nin, conclusasi tragicamente, per arrivare infine a Chirù, diciottenne di cui è difficile dire se la maestra lo sceglie o viene scelta, entrambe le tensioni sono in atto, anche quella erotica, che però Murgia lascia sullo sfondo, volutamente non risolta.

Vi è infatti un fascino ambivalente, a volte ambiguo in questa storia di eros pedagogico mai esplicitata fino in fondo, perché l’eros pedagogico è amore della relazione, ma è anche proiezione su una giovinezza splendida e incompiuta, in procinto di manifestarsi nella determinatezza delle proprie linee di definizione: Murgia questo lo tratteggia con una lingua cesellata per sottrazione e intagliata finemente in quell’amore per le similitudini tanto già all’opera originalmente nel precedente romanzo Accabadora, del 2009, con cui Chirù colloquia sottotesto già a partire dal titolo. Lì un termine della lingua madre proveniente dalla terra di Sardegna, presente con continuità nelle opere di Murgia, anche se qui appare più come sfondo d’elezione piuttosto che controcanto narrativo come accade invece in Accabadora; qui un soprannome e abbreviativo d’affetto, personalissimo e intimo, da Crucùciu, passero, uccellino, qualcosa di ancora crudo, non maturo.
Anche Accabadora è un romanzo dedicato a un rapporto d’elezione, quello della fill’e anima, ovvero l’adozione che la consuetudine non scritta della Sardegna permette e pratica tra una famiglia o donna più abbiente che accoglie e cresce come figlia o figlio un bambino di una famiglia meno abbiente e in difficoltà.

Nel romanzo del 2009 quello descritto è un rapporto con asprezze, certo, insieme però alla stima e all’affetto, pure difficili, che intercorrono tra le due donne protagoniste e voci narranti in terza persona; in Chirù invece la voce narrante in prima persona di Eleonora ha i tratti di una sapienza magistrale davvero acuminata nel descrivere i meccanismi del potere e dei possibili gradi del successo mondano (il grande ricevimento nella casa di uno dei più importanti produttori di teatro in Italia ricorda alcune scene notissime de La grande bellezza), rispetto la quale la figura di Chirù rimane volutamente indistinta e, per molti versi, assai più ambiguamente tesa verso il successo e l’affermazione personale a ogni costo.

Attraverso le diciassette lezioni che Eleonora impartisce al suo allievo fino al compimento finale, Murgia rappresenta una figura maestrale molto diversa da quelle della stessa Sardegna tratteggiate da Paola Pittalis in Isolitudine (Iacobelli, 2010). E al tempo stesso antifrastica e però complementare al Professore di desiderio di Philip Roth: medesima la tensione erotica, i ruoli dottorali come quelli dell’apprendistato, diversa la scelta linguistica, in Roth il fluire di un discorso erotico talmente disordinato da risultare difficile da contenere che però trova ordine nella donna che gli sarà compagna nella vita, qui una tensione alla sottrazione che accentua il talento della scrittrice per le figure contrastive, per la sintassi ardita, quasi ai limiti della sentenza apodittica, che sottolinea e mette in evidenza l’ambiguità delle relazioni tra i personaggi, che non hanno misura se non quella della propria affermazione.

Un libro complesso e ambizioso, che conferma Michela Murgia scrittrice capace di indagare pieghe oscure dell’umano vivere, di che cosa significhino successo, merito, opportunità, in realtà lessico di un potere che si consegue attraverso manipolazione, ambizione senza limiti, astuzia e opportunismo, consegnati però interamente alla figura dell’allievo, mai a quella della maestra, apparentemente ignara di quei maneggi che sa però così ben praticare per l’affermazione di sé. La stessa scelta di una donna protagonista di un rapporto così al limite certo non è banale, ma forse sottintende che anche le donne, quando esercitano potere, lo fanno nelle forme note del potere patriarcale? Si tratta di qualcosa già molto indagato dal pensiero femminista e Murgia ne fa figura narrativa risolta infine nella maternità biologica della protagonista, il che rischia di aumentare il disordine, pur non sottraendo nulla al fascino ambiguo del libro, là dove si accosta il potere creativo della madre al poter essere del rapporto magistrale.

Quel posso e voglio mozartiano che corre lungo la narrazione non è la stessa cosa del desiderio, e intrecciare il potere all’eros, che sia pedagogico oppure di ascendenza berlusconiana, apre alla declinazione sesso e potere così come ne ha scritto Ida Dominijanni: questione ancora al centro di tutte le stagioni politiche, anche la presente.