Tutti i film sul Lido cercano, pure con forme diverse, il racconto del presente. È un esigenza che attraversa gli immaginari, che entra nel paesaggio, nelle storie, nei racconti, che permea i generi, come se il cinema nel confronto col proprio tempo volesse allenare i propri limiti a altre sfide, a nuovi possibili orizzonti. Una grande lezione è arrivata ieri dal nuovo film di Frederick Wiseman, per la prima volta in un concorso internazionale –il festival di Cannes non lo avrebbe mai selezionato visti gli steccati che impone nella suddivisione tra generi al proprio programma – col suo nuovo film Ex Libris – The New York Public Library, tre ore e quindici minuti di un racconto epico che è un’analisi fortemente politica dell’America.

Wiseman, a cui la Mostra del cinema direzione Alberto Barbera aveva consegnato qualche anno fa il Leone d’oro alla carriera parte da un presupposto semplice e insieme fondamentale: la scelta di un luogo, la Biblioteca pubblica di New York, e le sue molteplici branchie disseminate nei diversi quartieri, che è aperto a tutti, senza distinzione di classe o di razza o di età o di gender, e che offre a tutti, «democraticamente» opportunità di conoscenza. «La Biblioteca rappresenta ciò che Trump detesta: eguaglianza, cultura, pensiero» dice Wiseman. E il film che è stato girato prima dell’elezione dell’ex-tycoon a differenza di altri in cui il desiderio di dichiarare una posizione «critica» verso l’attuale amministrazione americana appare un po’ «forzata» , è uno dei più politici visti in questi giorni, capace di illuminare con precisione le fratture del presente americano attraverso una storia che va oltre l’attualità.

Prendiamo quanto accaduto a Charlottesville: razzismo, suprematismo bianco, esclusione sociale. Chi ha scritto la Storia, e soprattutto come? È possibile trovare nei libri di storia in Texas il racconto della schiavitù come una forma di migrazione, una delle tante, con gli africani che allo stesso modo degli irlandesi, arrivavano in America per lavorare. Schiavitù come forza lavoro dunque, che permette di preservare la società dallo scontro di classe.

Frederick Wiseman foto di Eric Madigan Heck
Frederick Wiseman foto di Eric Madigan Heck

Attraverso i seminari, gli incontri, le letture, le conversazioni pubbliche con gli artisti – Elvis Costello, Patti Smith – gli scrittori, Wiseman disegna una Storia dell’America nella quale affiorano, appunto, le chiavi di lettura dell’oggi. Razzismo, capitalismo, neoliberismo: nelle lezioni che ascoltiamo si parla di Marx e della comunità ebraica a New York, si smantellano i luoghi comuni della narrazione storica comune, l’Islam come religione della schiavitù, si parla dell’arte e della realtà, come l’una forma l’altra. L’obiettivo è creare un terreno comune, un’empatia che passa per l’educazione e la conoscenza. Wiseman mostra l’istituzione nei suoi diversi aspetti: l’organizzazione del lavoro, le riunioni in cui si decidono strategie, piani, iniziative.

Il rapporto con le altre istituzioni cittadine, a cominciare dall’amministrazione che sovvenziona la Biblioteca, i cui capitali arrivano però anche dai privati – «Siamo un ottimo esempio di commistione» dicono soddisfatti gli amministratori. Il confronto tra gli operatori, lo scambio delle reciproche esperienze,le decisioni da prendere, la pianificazione delle attività che riguardano sempre un progetto collettivo, la città e dei suoi abitanti: come spingere alla lettura e allo studio i ragazzini di Harlem o allargare le possibilità di connettersi uscendo dal «buio digitale» per coloro che non hanno internet, ai quali vengono forniti abbonamenti per un anno.

Questo è il principio dell’istituzione, la sua ragione di essere, rendere accessibile un sapere che si oppone all’ignoranza della manipolazione – «La vittoria di Trump rappresenta il fallimento del nostro sistema educativo» ha detto Wiseman in una intervista al quotidiano francese Le Monde – e che invece continua a credere, come lui, nell’America dei principi democratici, che ovviamente non è la stessa idea di «democrazia» con cui vengono motivate guerre e occupazioni. Le istituzioni sono al centro dell’opera di Wiseman, nelle loro diverse forme, ogni nuovo film ce ne ha proposto una diversissima declinazione che nel rapporto interno-esterno diviene una lente attraverso la quale cogliere il mondo.

La realtà nel cinema diretto di Wiseman non è una presa di posizione ideologica, affiora dalle sue immagini, è dentro la forma con cui vengono organizzate.E in questo magnifico film, forse il suo più bello, che è il Leone d’oro del festival (almeno per me), più che mai: nella trama corale affiora una dichiarazione di resistenza, il sapere, l’educazione, sono altamente rivoluzionari, e per questo devono essere controllati e distorti. Ma nella Biblioteca – e nell’universo di Wiseman – sono il primo strumento per la democrazia, solo però se condivisi e resi anch’essi valori democratici.