A Lesbo si è registrato il primo caso ufficiale di Coronavirus: si tratta di una greca di 40 anni, impiegata in un negozio di alimentari, che avrebbe visitato Israele ed Egitto lo scorso mese durante un pellegrinaggio. Al momento ricoverata in terapia intensiva all’ospedale del capoluogo Mytilene, la donna ha anche due bambini, che oggi non sono andati a scuola per prudenza. La notizia ha messo in allarme le organizzazioni umanitarie presenti sull’isola, che temono gli effetti devastanti di una eventuale epidemia in un campo sovraffollato come quello di Moria, dove ventimila migranti languiscono in condizioni igieniche disastrose e senza il necessario supporto medico. In una tendopoli dove manca non soltanto il sapone ma anche l’acqua per lavarsi, immaginare di mettersi le mascherine sul viso per proteggersi è un’utopia, per non parlare del sovraffollamento nell’hot spot e sulle colline circostanti, dove gli assembramenti sono la norma, o delle tende in cui si rifugiano in troppi, focolai perfetti per la diffusione del virus.

Sempre a causa dell’aumento dei casi di persone positive al Covid-19 in Italia e alle conseguenti misure messe in atto dal governo, proprio in queste ore molti operatori umanitari italiani si stanno interrogando sull’opportunità di andare a Lesbo per portare aiuti: il rischio di diventare “untori” involontari è infatti molto alto, soprattutto in presenza di così tanti casi vulnerabili. Per lo stesso motivo, ancora non è chiaro se verrà confermata la grande manifestazione antifascista convocata sull’isola per sabato 14 marzo. All’orizzonte si profila una potenziale catastrofe sanitaria, che andrebbe ad aggiungersi alla già terribile situazione dei migranti, schiacciati da un ulteriore giro di vite del governo greco, che dall’1 marzo ha deciso di non accettare più richieste d’asilo per almeno un mese, senza riguardo per la Convenzione di Ginevra e la Dichiarazione universale dei diritti umani.

La tensione al campo di Moria è sempre altissima: ieri notte c’è stata una rissa che ha coinvolto almeno trenta persone e solo due giorni fa la scuola dell’ong svizzera One Happy Family, un centro che ogni giorno accoglieva fino a 800 migranti, è andata completamente distrutta in un incendio, probabilmente doloso. Un ennesimo attacco al lavoro paziente e indispensabile delle organizzazioni umanitarie e degli attivisti, da giorni sotto l’attacco degli estremisti di Alba Dorada, aiutati anche da neofascisti infiltrati da altri paesi.

Intanto sulla frontiera interna si susseguono gli scontri fra la polizia e migliaia di persone che premono per riuscire a entrare in Grecia, spinti sul confine di terra dal presidente turco Erdogan, che tiene sotto pressione l’Europa con la minaccia di nuove ondate di profughi pronte a riprendere la Balkan Route. Dal fiume Evros continuano ad arrivare immagini di persone denudate, picchiate selvaggiamente e respinte senza pietà con i gas lacrimogeni e i morti accertati sono ormai due. Dopo il ragazzo siriano della settimana scorsa, è stata infatti confermata la morte di Muhamad Gulzar, ucciso il 4 marzo dalla polizia greca mentre tentava di attraversare il confine vicino a Kastanies. Secondo le testimonianze, Muhammad dalla Grecia era andato in Pakistan per sposarsi e voleva approfittare dell’apertura del confine turco per torna