Assoldati per lavorare, ma poi, muratori e manovali, pagati a giornata, dovevano restituire parte degli introiti: metà dello stipendio, i soldi della Cassa edile e anche il Tfr. Somme che finivano nel “tesoretto” della camorra. Funzionava così a L’Aquila, e così i casalesi si erano ben infiltrati nella ricostruzione post terremoto. In quella privata.

La manodopera arrivava per lo più dal Casertano e veniva piazzata nei vari cantieri, con l’obbligo di ridare indietro, a fine mese, una porzione dei guadagni. E quei soldi, secondo quanto accertato dalla magistratura, venivano rastrellati per alimentare i fondi neri destinati alla malavita organizzata. Un sistema che vedeva in prima linea Alfonso Di Tella, costruttore campano da lungo tempo residente all’Aquila, e che, stando alle indagini, è «un controllato» della camorra, legato a Michele Zagaria.

È stata la Procura distrettuale antimafia abruzzese, insieme alla Finanza, a scoperchiare il giro losco. E milionario. Ieri sono scattate le manette: 7 gli imprenditori arrestati. Ai domiciliari l’amministratore della società e i fratelli Dino e Marino Serpetti. In carcere, invece, sono stati rinchiusi Alfonso Di Tella, suo fratello Cipriano e il figlio Domenico, oltre a Michele Bianchini. Sono dell’Aquila e provincia.

Le accuse parlano di estorsione aggravata, intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro. Tutto in «contiguità con il clan dei casalesi».

«Le imprese coinvolte – spiega il sostituto procuratore David Mancini – acquisivano quante più commesse possibili a prescindere della loro capacità tecniche e di organico. Si affidavano poi ai Di Tella, che reperivano le maestranze solo a Casapesenna e Casal di Principe». Quindi, grazie ad un oliato sistema di caporalato, «portavano e alloggiavano all’Aquila i lavoratori, li facevano assumere dalle aziende del posto, che emettevano una busta paga con importi corretti. Ma, al contempo, la offrivano in copia ai Di Tella che gestivano una contabilità separata, occulta, parallela». Con il «pizzo» imposto agli operai.

Aggiunge Mancini: «Dopo aver percepito l’importo, il lavoratore restituiva la metà dello stipendio, con prelievi bancomat. Era una costrizione che non avveniva attraverso la violenza ma con intimidazione ambientale diffusa, in qualche caso con alzata di toni a ricordare gli obblighi condivisi dalla provenienza geografica». Le imprese locali avrebbero percepito il 30% dell’importo degli appalti, solo per il fatto di esserseli aggiudicati, ma senza fare nulla, mentre il 70% andava ai Di Tella che provvedevano a realizzare gli interventi.

«Oltre alla ricostruzione degli edifici pubblici che, per la normativa di riferimento, offre determinate garanzie e prevede un sistema di controlli che consente un più efficace contrasto a forme di illegalità – scrive nell’ordinanza il gip Marco Billi – ha assunto particolare importanza la ricostruzione privata, ossia interventi edilizi realizzati con denaro pubblico ma volti a ricostruire immobili di proprietà privata. La ricostruzione privata non prevede un metodo efficiente attraverso il quale la pubblica amministrazione possa imporre all’appaltatore di indicare in anticipo la quota di lavori che intende dare in subappalto e individuare in anticipo le imprese subappaltatrici, né contempla forme sanzionatorie o comunque recuperatorie del denaro pubblico nel momento in cui si accerti che l’appalto è stato eseguito in maniera difforme da quanto pattuito». «Questa condizione di scarsa trasparenza – sottolinea ancora – ha consentito a L’Aquila ad alcune società (ad es. Todima s.r.l. e Domus dei F.lli Gizzi s.r.l.) di acquisire contemporaneamente un numero di appalti superiore alle proprie possibilità, affidandosi a imprenditori in grado di organizzare tutte le attività di cantiere e in grado di reclutare manodopera a basso costo… Attraverso l’abbattimento dei costi, realizzato grazie all’intervento dei Di Tella, con le condotte estorsive nei confronti dei lavoratori sfruttati, le società aquilane si sono garantite cospicui guadagni».

«Il sistema orchestrato – fa presente il gip – oltre a creare un intero settore economico… ha anche alterato profondamente le regole della concorrenza e ha inquinato tutto il settore della ricostruzione privata», visto che «la riduzione dei costi è stata ottenuta attraverso il ricorso a un metodo intimidatorio».

Nota bene

Rispettando il diritto all’oblio richiesto da una delle persone citate, uno o più nomi sono stati rimossi dopo la prima pubblicazione dell’articolo.